Randagio. Qualcuno mi chiese un giorno una parola per definirmi, in un momento nel quale facevo fatica a trovare qualcosa che descrivesse il mio stato d’animo. Allora ci pensai un attimo e risposi: “randagio”.

Perché? Perché sono un uomo del Sud (anzi di un’isola del Sud) di una generazione che si sposta, affamata e decisa a prendere a morsi la precarietà a cui è stata condannata (e, in tutta sincerità, forse un po’ si è anche auto-condannata). Si sposta, lascia le sue strade e si tuffa dentro altre, meno conosciute ma avvincenti. Gira, osserva, sente il profumo della solitudine notturna, vive in simbiosi con un sé fatto di ricordi, di malinconici viaggi mentali verso la terra lontana. Incontra, si incazza, sogna, mangia, vive.

Però sono uno di quei randagi solitari, quelli che il branco ringhioso non lo amano. Un randagio dallo sguardo attento che non ama scodinzolare, se non in quei momenti nei quali la più bella umanità trionfa sull’ingiustizia e sulla violenza. Perché sono un randagio umano e non metterei mai sul banco delle scommesse nemmeno un pezzo dell’umanità di cui ho bisogno.

Questo blog sarà un pezzo di me che cammina davanti al vostro marciapiede. Sarà uno spazio di riflessione, di storie che ho avuto modo di conoscere, incontrare, approfondire. Storie bellissime o terribili, di uomini, donne, di anime erranti, di quelle che la vita ha reso meravigliose anche nella loro drammatica esperienza.

E poi uno spazio di commento su quello che avviene ogni giorno, sui fatti che l’attualità ci mette di fronte e dentro cui si nascondono tranelli, omissioni, omertà volute, droghe di pensiero e altri artifici.

Perché, che si sappia, a noi randagi piace la verità. Anche quella più dura, anche quella più insopportabile. Fa parte della nostra storia. Del nostro viaggio.

Del mio. Iniziato così.

Saluti randagi.