Il nostro Paese avrà quasi certamente la sua prima donna a capo del governo. Giorgia Meloni, leader di Fratelli d’Italia, ha vinto le elezioni politiche del 25 settembre, battendo una sinistra ormai inesistente e frammentata, sterzando il volante d’Italia a destra, quasi estrema, se vogliamo essere più precisi. Una leader vera, per essere onesti, ha trascinato il suo partito a una vittoria annunciata, restando sempre all’opposizione. Governare, però, è un’altra cosa. Governare richiede l’interruzione della propaganda, toni moderati, dialogo e concretezza. Ove mai mancassero, il vessillo della prima donna premier a poco servirà. Meloni è prima inter pares, donna alla guida di un partito e di una ideologia a trazione maschile, e anche i nomi trapelati per la squadra di governo sono quasi tutti uomini. Meloni ricalca il modello di leadership maschile, senza nulla togliere ai suoi meriti: si può essere discordi con lei su tutto, ma nessuno può negarle doti retoriche e quella “cazzimma” necessaria alla vittoria che è mancata ai suoi avversari. Ci sono però dei punti su cui focalizzarsi.

Parliamo di uno dei capisaldi dell’intera campagna elettorale e di tutta la parabola politica di Meloni. Facciamo un salto indietro di 21 anni, al suo primo intervento pubblico, in occasione del Congresso di Alleanza Nazionale, partito erede del MSI: da giovane coordinatrice di Azione Giovani, prende parola proprio Giorgia Meloni, che attira l’attenzione di molti. Nel suo discorso, i giovani, la nazione, ma anche il diritto alla vita, che, tradotto in altri termini, vuol dire reticenza al diritto all’aborto. Era il 2001.

A Giorgia Meloni di certo non manca la coerenza, che spesso però si traduce in una scarsa aderenza allo spirito del tempo. Sono passati più di 20 anni e dei capisaldi che già all’epoca apparivano datati, in una campagna elettorale quale quella del 2022, appaiono senz’altro anacronistici. Meloni ha più volte garantito di non voler toccare la sudatissima Legge 194, una legge ormai obsoleta che tiene ancora in piedi troppi obiettori di coscienza e troppi aborti non sicuri. Una legge che andrebbe potenziata, perché il diritto alla vita esiste, ma esistono anche altre scelte, altri progetti, altri modelli sociali che non rispondono soltanto all’idea e alla necessità di famiglia.

A un ragazzo che la scorsa estate ha protestato a favore dei diritti civili della comunità Lgbtq, in occasione di un comizio elettorale in Sardegna, Meloni ha risposto: “Avete già le Unioni Civili, cosa volete più?”, come se bastasse un contentino. La società evolve, per fortuna. Non si può dire lo stesso dei programmi politici che ancora si ostinano a ignorare una parte di collettività che, per l’appunto, rivendica il diritto più semplice e naturale del mondo: esistere anche di fronte allo Stato. Un quadro che a molti fa pensare ad antichi fasti di solidità e prosperità, ad antichi valori andati perduti, ma che a tanti altri ancora sembra dipinto con sfumature che si avvicinano pericolosamente al nero. D’altro canto, risultano inaccettabili le ingerenze del governo francese su uno stato sovrano come l’Italia, colpa forse della permissività concessa negli anni passati, la stessa che ha messo l’acceleratore a una deriva sempre più orientata a destra.

La prima donna premier rispecchia esattamente lo spirito provinciale di questo Paese: la facciata. Siamo bravi a gloriarci dei grandi eventi, di vantare primati, che restano fermi allo stesso punto anche a distanza di anni. Gli esponenti di FDI alla domanda: “Sì, ma cosa farete per le donne?”, rispondono “porteremo la prima donna alla guida del governo”. La retorica della prima donna al governo che non fa nulla di progressista per le altre donne, ma che porta come tesi il solo fattore biologico, è la classica non risposta di fronte alla quale la sinistra ha peccato di presunzione, limitandosi spesso a rivolgere gli occhi al cielo, dall’alto di un piedistallo che ormai è andato in mille, minuscoli pezzi. È l’ennesima dimostrazione di come l’Italia sia ancora una grande provincia che elargisce contentini e che foraggia i nostalgici. C’è ancora molta, tante strada da fare. Ci aspettano 5 anni durante i quali sarà meglio ricostruire una mentalità progressista, per essere dalla parte giusta della storia. Alla futura premier vanno i più sinceri auguri: sarà la presidente di tutti gli italiani, sarà alla guida di un Paese alle prese con crisi energetiche e discrepanze sociali. C’è da rimboccarsi le maniche, certo, ma l’altra parte del Paese deve continuare a lottare.

Virago -ilmegafono.org