“Raccontiamo il bene” è una campagna lanciata dall’associazione Libera ben 13 anni fa con l’obiettivo di creare una vera e propria mappatura delle realtà che gestiscono i beni immobili confiscati alle mafie. Nello specifico, l’associazione di Don Ciotti vuole “contare e raccontare le pratiche di riutilizzo dei beni confiscati gestite dall’associazionismo”. Un obiettivo molto ambizioso, soprattutto se si pensa a qualche numero interessante: ad oggi, sono ben 991 i soggetti impegnati nella gestione di beni confiscati alla criminalità organizzata, tutti distribuiti in 18 regioni e in più di 359 comuni italiani (227 al nord, 68 al centro, 696 al sud e nelle isole). Tra le altre cose, la regione che detiene il maggior numero di enti sociali impegnati in tal senso è la Sicilia, con 267 gestori, alla quale segue la Calabria (con 148) e la Lombardia (con 141).

Tali enti sono realtà diverse eppur complementari tra loro: tra essi, infatti, esistono più di 500 associazioni di vario tipo, oltre 200 cooperative sociali, 59 enti religiosi e anche 30 istituti scolastici. Insomma, una vera e propria rete il cui unico obiettivo è quello di ridare vita e dignità a dei beni che devono tornare a far parte dell’intera comunità. Per questo motivo, lo scorso gennaio, Libera ha inviato un questionario quanti-qualitativo a tutti i gestori degli enti, in modo da provare a “scattare una fotografia aggiornata di quanto si muove attorno al tema del riutilizzo pubblico e sociale dei beni confiscati, che sta cambiando il volto di tante aree del Paese”.

A distanza di quasi un anno, possiamo affermare come il risultato emerso abbia due facce ben distinte: se da un lato emerge ancora una volta l’importanza che questi beni ricoprono per l’intero Paese (tra le altre cose, si evince come tutto ciò abbia non solo un risvolto positivo nel sociale, ma anche in ambito economico e di welfare), dall’altro si nota un cambiamento della situazione in negativo. Specialmente per quel che riguarda certe azioni del governo che vanno in controtendenza rispetto agli anni precedenti: il taglio di ben 300 milioni di euro dalle forniture del PNRR “per la rifunzionalizzazione e la valorizzazione dei beni confiscati” è, ad esempio, un colpo troppo importante da mandare giù. Diversi comuni, nonché enti di ogni genere, avevano infatti già iniziato a pianificare spese volte alla riqualifica dei beni proprio in vista dei fondi europei in arrivo. Ora che questi rischiano di scomparire, la situazione potrebbe cadere in uno stallo totale.

Per non parlare del cosiddetto “approccio liquidatorio”, ovvero la vendita degli immobili confiscati, che, dal 2018, con il primo decreto sicurezza emanato da Salvini, è stata estesa a “tutti i privati, al miglior offerente e all’asta pubblica”, aumentando così il rischio di una svendita a prezzi svalutati o di un acquisto da parte di prestanome con lo scopo di riappropriarsi dei beni e di riciclare altro denaro. Un vero e proprio circolo vizioso che rischierebbe di avvantaggiare solo ed esclusivamente le stesse cosche mafiose. Inoltre, Libera denuncia come negli ultimi tempi vi sia stato un peggioramento della situazione generale in tema dei beni confiscati.

“Nonostante l’indiscusso valore della legge e delle tante buone pratiche di riutilizzo sociale dei beni sottratti alle mafie, divenute esempio all’estero ed osservate con attenzione come spunto dal legislatore europeo”, si legge in un comunicato dell’associazione, è possibile notare un “cambiamento di paradigma che, da più parti, mette in discussione queste conquiste anche attraverso una narrazione tossica e distorta”. “Un approccio sempre più privatistico al tema del riutilizzo dei beni confiscati, l’introduzione sempre più frequente nel dibattito pubblico del tema della vendita e della rimodulazione delle misure di prevenzione”, ma soprattutto “la banalizzazione delle criticità che affliggono la materia” fanno parte di quella “normalizzazione che ha lasciato fuori il tema della lotta alle mafie dall’agenda politica, riducendo mafie e corruzione a uno dei problemi marginali del Paese”.

Ecco perché, oggi più che mai, urge prendere provvedimenti seri e concreti, prima che il trend negativo degli ultimi tempi non diventi la normalità. A tal proposito, lo scorso venerdì 24 novembre, a Roma, Libera ha presentato diverse proposte da consegnare a vari soggetti (tra i quali forze politiche, uffici giudiziari, magistratura). Tra le proposte di Libera vi sono: la “tutela e l’attuazione” del Codice Antimafia “in tutte le sue positive innovazioni, quale strumento efficace di contrasto patrimoniale alle mafie”; “il riutilizzo in fase di sequestro, così come già previsto dal Codice Antimafia, all’articolo 40 comma 3 ter”; “il rafforzamento del principio di priorità del riutilizzo sociale del bene confiscato, vero strumento del principio risarcitorio contro la violenza e il controllo mafioso”.

In conclusione, riprendendo quanto illustrato da Libera, bisogna sottolineare come la lotta alla criminalità organizzata non può prescindere da una regolamentazione concreta ed efficace sulla confisca e l’utilizzo dei beni tolti alle mafie. Anzi, questo è probabilmente uno degli aspetti più importanti nella lotta in sé, poiché toglie potere economico e soprattutto territoriale a chi per troppo tempo ha regnato nella totale illegalità e ingiustizia.

Giovanni Dato -ilmegafono.org