Ci vuole molto coraggio a parlare di libertà ai tempi di Trump e degli sciamani. Ci vuole tanta faccia tosta per ergersi a difensori di un concetto di libertà totalmente distorto e agghindato con le decorazioni fastose di una presunta censura. Ci vuole tanto amor proprio per presentarsi al pubblico come penne o menti libere che urlano e si ribellano contro un atto che ritengono illiberale, dimenticando in un istante ciò che lo ha generato. La questione è nota: il social network Twitter ha bannato definitivamente Donald Trump. Una decisione dettata dalla necessità di fermare i continui “cinguettii” con i quali l’ormai ex presidente americano proseguiva la sua opera di incitazione alla violenza dei suoi sostenitori. Al contempo, anche Facebook ha sospeso il profilo di Trump. Un atto considerato necessario dopo l’assalto del Congresso e la recrudescenza delle proteste di complottisti, paramilitari, neonazisti, negazionisti di ogni sorta, antiabortisti, membri del redivivo Ku Klux Klan, insomma di tutto quel panorama orrido che si riconosce nel cosiddetto “trumpismo”.

Un atto di fronte al quale in tanti hanno gridato alla censura, richiamando il concetto nobile di libertà di espressione del pensiero. In tanti si sono messi a discutere di Twitter, del fatto che una società privata stabilisca chi possa parlare o meno, della necessità di regole che valgano per tutti. In Italia c’è chi ha parlato di attacco alla libertà o perfino di attentato alla democrazia. Al di là dei ragionamenti che si possono fare sul potere sempre più imponente dei social media e della loro natura privatistica, sinceramente è davvero difficile comprendere come si possa associare il concetto di libertà a questa vicenda. Sfugge il nesso tra la libertà di pensiero e l’insulto, l’incitazione alla violenza, l’odio, le fake news, il continuare a gettare benzina sul fuoco ancora acceso e tutto quello che ha caratterizzato Donald Trump, non solo nelle ultime settimane, ma lungo tutto il suo mandato.

Cosa c’entra la libertà con l’odio? Perché una società privata, sul proprio canale, dovrebbe concedere a un uomo, seguito da milioni di persone, il diritto di diffondere odio e di incitare alla violenza di massa costata già 5 morti? La libertà con la violenza gratuita e con la follia non ha alcun legame. Qualcuno, purtroppo, ha da tempo confuso la libertà di pensiero con il diritto all’oltraggio. E qui veniamo al punto sul quale bisognerebbe focalizzarsi: perché i social non lo hanno fatto prima? Donald Trump è stato protagonista di innumerevoli tweet offensivi, sessisti, razzisti, violenti e antidemocratici. L’insulto è stato il suo mezzo ricorrente, Twitter il suo canale prediletto. Ha parlato quasi solamente lì, di sicuro più su Twitter che in conferenze stampa o sui media ufficiali. Ha soffiato sul fuoco razzista, ha generato già in passato azioni violente, le ha giustificate in più occasioni.

Oggi il gioco è finito. Ed è finito con notevole ritardo e solo perché dalle parole i suoi follower sono passati ai fatti colpendo il cuore della nazione americana. Tragicamente e con la complicità di qualcuno che voleva creare il caos per conto di Trump. Viene in mente la sesta stagione di Homeland (una serie Tv che dice molto sugli USA) e ci si augura che non si arrivi fino alle ultime puntate. Che ci si fermi prima. Che davvero quanto accaduto a Capitol Hill sia l’ultimo colpo di coda di un irresponsabile pericoloso. Il dubbio che non sia così e che siamo ancora all’inizio è però molto concreto. Trump sarà cacciato via dalla sua sedia presidenziale, ma il trumpismo rimane un virus che circola nel sangue di una società americana raramente così fratturata al suo interno. Di fronte a questo rischio, che Twitter gli tolga un canale importante è il minimo. Solo che il concetto dovrebbe valere per tutti. Non solo per Trump.

Su questo un po’ di ragione ce l’ha chi sostiene che, se esistono delle regole, la cosiddetta policy del social network, allora andrebbero applicate per tutti coloro che incitano all’odio e usano i social per umiliare, diffamare, insultare chi non la pensa come loro. Andrebbero bannati non solo i troll, gli haters, i cittadini che pensano che sui social tutto sia concesso, anche inneggiare all’omicidio o prendere come bersaglio delle persone e indurle al suicidio, ma anche gli esponenti politici o dei media che usano l’oltraggio, la discriminazione, l’incitazione all’odio (razziale, sessista, politico). Soprattutto i politici (e in Italia ne abbiamo alcuni che sono ossessivi e che pagano profumatamente staff dedicati a questa ignobile attività) dovrebbero essere fermati quando utilizzano i social in maniera non corretta. Perché un conto è la libertà di pensiero, un altro conto è la calunnia, mettere qualcuno (spesso minorenni e donne) alla gogna, dandoli in pasto ai propri seguaci.

Salvini e Meloni in questo battono tutti, ma non sono i soli. E che ciò sia pericoloso, non lo dimostra solo quanto accaduto a Washington, ma anche i commenti di molti seguaci di Lega e Fratelli d’Italia, i quali non solo non hanno condannato le violenze americane ma le hanno giustificate o perfino auspicate. Ecco, allora, prima di parlare di libertà e di confonderla con altro, sarebbe meglio avere il coraggio di affrontare il tema del linguaggio politico e dell’etica di quel linguaggio. Sarebbe meglio chiedere che la politica smetta di usare slogan partoriti dall’intestino e, ancor più, di farlo sui social. Esiste un altro modo, più nobile, di comunicare con gli elettori, utilizzando canali di comunicazione e toni più istituzionali, rispettando ciò che la Costituzione davvero intende per libertà di pensiero, riferendosi appunto al pensiero, alle idee, non all’odio e alla violenza.

Nessuno impedisce alla politica di utilizzare i social, ma allo stesso modo nessuno impone alla politica di invaderli e, per di più, in modo così osceno e pericoloso. Sarebbe più importante occuparsi di questo e pretendere una risposta concreta sia da chi usa i social sia dai social stessi. Il resto sono solo chiacchiere tra narcisisti da salotto, illiberali nascosti e finti alfieri di una libertà sconosciuta.

Massimiliano Perna -ilmegafono.org