Nonostante le proteste, sono state avviate le procedure di esproprio dei terreni per la realizzazione del Ponte sullo Stretto, la grande opera (progetto folle e irrealizzabile) che, nei sogni di Salvini e Schifani, dovrebbe unire Sicilia e Calabria. Nei giorni scorsi, sarebbe stato dato il via alle procedure relative ai terreni sui quali sorgeranno delle cave per lo stoccaggio del materiale: circa 70mila metri quadrati di territorio nei quali verranno riversati circa un milione e mezzo di metri cubi di materiale inerte. Per far ciò, sarebbe stato individuato nella zona di Limbadi, nel Vibonese, a pochi chilometri da Nicotera, il luogo ideale in cui realizzare questa discarica enorme, un lavoro propedeutico e quindi necessario alla realizzazione del ponte stesso.

Fin qui tutto sembrerebbe filare tutto liscio. Peccato, però, che, come racconta Lucio Musolino sul Fatto Quotidiano, a Limbadi la famiglia Mancuso, uno dei più potenti clan di ‘ndrangheta, controlli così tanto il territorio al punto tale da essere invischiata in qualsiasi cosa accada o si muova da quelle parti: opere pubbliche e private; appalti e subappalti; elezioni. Per la realizzazione della discarica, come dicevamo, sono stati previsti espropri di terreni, così come sovvenzioni, indennità di occupazione e molto altro per tutte quelle persone che in quella zona ci vivono o posseggono dei beni. La cosa preoccupante, però, è che 60mila dei 70mila metri quadri di terreno sopraccitati sono di proprietà della famiglia Mancuso. Se questi espropri dovessero divenire effettivi, quindi, lo Stato si ritroverebbe a dover pagare una ingente quantità di denaro alla famiglia mafiosa più potente della Calabria. E il tutto in maniera formalmente legale.

Ciò, ovviamente, cozzerebbe non poco con le dichiarazioni di nemmeno un anno fa del ministro delle Infrastrutture, Matteo Salvini, il quale affermava convinto che il ponte sarebbe stato “un antidoto contro la mafia”, un modo “concreto per combattere mafia e ‘ndrangheta”, dal momento che, secondo il ministro, darebbe “lavoro a tanti giovani di quel territorio”. Alla luce di tutto ciò, sembra proprio che ai vertici del ministero e del governo qualcosa sia sfuggito, specie se consideriamo il silenzio assordante delle forze di maggioranza in merito a tale questione. Oltretutto, nel progetto presentato per la realizzazione della discarica, si legge come il terreno preso in considerazione non sia edificabile; al contrario, si tratterebbe di “una superficie posta su un rilievo collinare, un tempo utilizzata come cava di inerti per la produzione di calcestruzzo e dei rilevati compresi nelle opere di costruzione del porto di Gioia Tauro”. Un luogo che, quindi, “giace in stato di degrado e abbandono” e non ha praticamente alcun valore.

Oltre il danno la beffa: verranno così pagati degli indennizzi a persone più o meno direttamente collegate alla famiglia criminale per dei terreni comunque inutilizzabili. Un vero e proprio regalo alla criminalità organizzata, questo, che non può e non deve assolutamente passare inosservato. Proprio per questo motivo, il deputato di Verdi e Sinistra, Angelo Bonelli, ha chiesto “alla Direzione distrettuale antimafia e alla presidente della commissione bicamerale antimafia, Colosimo, di avviare un’indagine sulle proprietà dei terreni dove sarà realizzata l’opera”. Intanto, l’amministratore delegato della società Stretto di Messina, Pietro Ciucci, il quale, interpellato circa la possibilità di infiltrazioni mafiose nella realizzazione del ponte, ha affermato che “la società Stretto di Messina agisce nell’assoluto rispetto delle norme” e che sono già “stati instaurati rapporti di collaborazione con gli Uffici territoriali del Governo e le Forze dell’ordine competenti, con la comune volontà di promuovere e garantire la cultura della legalità, della trasparenza amministrativa e della tracciabilità dei flussi finanziari, ossia di tutti gli introiti e i pagamenti relativi agli espropri e alla realizzazione dell’opera”.

Parole che hanno bisogno di fatti concreti, ma la sensazione è che queste rassicurazioni siano utopiche, perché è ovvio che un’opera così costosa quanto inutile, nel nostro Paese, accende gli appetiti delle mafie. La costruzione del ponte è un’opera troppo importante per le cosche siciliane e calabresi, così importante che non si faranno di certo scappare un affare miliardario e dalle enormi potenzialità di profitto. Le infiltrazioni nelle opere pubbliche non sono certo una sorpresa ed è per questo che bisogna mantenere alta l’attenzione. Certo, se a queste poi aggiungiamo un vero e proprio regalo come quello che lo Stato rischia di fare con gli espropri, allora la questione diventa insormontabile e in un certo senso di difficile soluzione.

La verità è che forse andrebbe fatto un passo indietro, ma non a causa della capacità di infiltrazione delle mafie, perché questa sarebbe una resa, una sconfitta. Lo Stato rinunci a questo scempio, lasci perdere il ponte, perché è un’opera troppo grossa e inutile, di difficile realizzazione e non prioritaria, dove i rischi sono di gran lunga maggiori della sua necessità. Il governo fermi questo dispendio vergognoso e pericoloso di soldi pubblici. Concentri piuttosto i suoi sforzi e le sue risorse, con il giusto sistema di controlli e la necessaria trasparenza, sulle vere emergenze del Meridione, sul lavoro, quello reale, sulle infrastrutture di collegamento delle aree interne (un vero problema per Sicilia e Calabria), sui trasporti e, ultimo ma non meno importante, sul contrasto alle mafie. Altro che indennizzarle per pagare gli espropri.

Giovanni Dato -ilmegafono.org