Un giorno qualsiasi, un cantiere, il crollo, la polvere, la morte. Una triste sequenza che, troppo spesso, si ripete nel nostro Paese. Così come si ripetono le discussioni a posteriori, quando tutti sembrano volersi interessare del tema della sicurezza sul lavoro, quando chi aziona le leve di comando si mostra colpito e farfuglia promesse prive di contenuti. Un copione già visto, un’attitudine che ha una durata contenuta, bene che vada una settimana o dieci giorni, poi tutto torna ad essere solo materia dei sindacati, solitamente inascoltati. Firenze è un altro punto drammatico nella cartina delle morti sul lavoro, quelle che qualcuno ha ancora il cattivo gusto di definire “bianche”, quasi avessero contorni non definibili o intensità più tenui. E invece non c’è nulla di indefinito o tenue negli incidenti mortali sul lavoro, anzi sono quadri funesti che ripropongono in modo perfettamente evidente le responsabilità, le tante carenze e quelle tragiche disfunzioni che la politica degli ultimi decenni ha gradualmente accentuato, soprattutto sul piano delle misure preventive e di controllo.

Da Torino a Firenze, dal 2007 al 2024, dall’intervento normativo del 2008 alle polemiche di queste ore, è cambiato poco, soprattutto non è cambiato l’approccio della politica, di chi ha il compito di legiferare, intervenire, prevenire. Nella logica dominante dell’orientamento al profitto e alla prevalenza del mercato, dove i diritti sono un fastidio o un ostacolo che rallenta lo sviluppo, chi ci rimette sono sempre i lavoratori, che il mondo politico ha dimenticato da tempo e che sono lontani dall’essere una questione prioritaria, abbandonati e tutelati solo da quei pochi sindacati, o meglio da quelle poche realtà sindacali che ancora lottano per il lavoro inteso elemento fondante della nostra Repubblica.

A Firenze sono rimasti sul terreno altri cinque morti, cinque operai che presto smetteranno di essere notizia per i quotidiani e rimarranno solo dei nomi qualsiasi nell’elenco infinito dei caduti sul lavoro. Come è stato per gli operai della Thyssen o per quelli di Brandizzo. Come sarà per gli altri che, purtroppo, continueranno a riempire questa lista senza fine. Persone che escono di casa per lavorare e che non tornano, con famiglie distrutte che nessun risarcimento o riconoscimento di giustizia potrà consolare mai davvero. L’Italia dei tempi moderni è questa, quella in cui il lavoro è sottopagato e i diritti sono accantonati o negati, in nome della convenienza e dell’avidità di aziende che aggirano le leggi o spremono proficuamente quelle che qualcuno ha disegnato su misura per loro.

L’Italia dei subappalti selvaggi, quella in cui il sistema degli appalti è pensato per penalizzare le imprese che rispettano le regole e investono in formazione e sicurezza. Un sistema che, nel settore privato, favorisce chi abbassa il prezzo, tagliando su salari, sicurezza, formazione e, dunque, mettendo a rischio la vita dei lavoratori. Il nostro, infatti, è il Paese in cui un esercito di lavoratori e lavoratrici opera in contesti pieni di criticità, nei quali la paura di restarci secco è qualcosa con la quale impari a convivere, pur sapendo bene che tutto questo non sarà mai normale. In questo esercito, come è emerso in tante occasioni e in diversi settori, ci sono persino quelli più sfortunati degli altri, perché considerati invisibili, grazie alle leggi e agli ostacoli posti da chi comanda. Sono i lavoratori immigrati, che molto spesso lavorano senza vedersi riconosciuto il minimo diritto sindacale e ai quali c’è perfino chi attribuisce tutte le colpe del malfunzionamento del sistema.

Così la pensa un giornalista, Borgonovo, che in realtà è solo un esperto di sciacallaggio e un costruttore seriale di odio, lo ha fatto dalle colonne del suo giornale, un quotidiano che è la negazione evidente del nome della testata. Naturalmente, libero di disinformare e di vomitare razzismo, senza che l’ordine dei giornalisti batta un colpo naturalmente. Tornando alla strage sul lavoro di Firenze, la magistratura ora accerterà i fatti, le responsabilità, la situazione dei lavoratori sul piano contrattuale, dei turni, delle condizioni di sicurezza del cantiere. E magari approfondirà il fatto che la committente e la ditta appaltatrice sono le stesse coinvolte in un altro incidente sul lavoro, accaduto lo scorso anno a Genova, in un altro cantiere Esselunga. Peraltro, la committente, è presieduta dall’ex ministro, nonché esponente del centrodestra, Angelino Alfano (leggi qui).

Insomma, di sicuro ci sono già elementi che lasciano pensare e che riportano sempre alle stesse problematiche, di fronte alle quali il governo risponde blaterando promesse generiche come quelle della ministra del Lavoro, Marina Calderone, che in un anno e mezzo di governo non ha prodotto nulla sul tema della sicurezza nei luoghi di lavoro. Oggi, mentre si contano altri morti, la ministra non sa far altro che assicurare che aumenteranno le ispezioni, in un Paese nel quale siamo da tempo a corto di ispettori (ma il governo se ne accorge solo adesso), e promettere norme più efficaci e incisive. Senza alcuna consultazione con i sindacati e sempre ragionando in termini di inasprimento delle sanzioni (cosa che da sola non basta), ma con pochissimo spazio sul piano del potenziamento della prevenzione e dei controlli. D’altra parte non è un governo, questo, particolarmente sensibile rispetto al tema del lavoro, visto che preferisce concentrare i suoi sforzi su ambiti utili più politicamente ed elettoralmente che al bene collettivo.

Per onestà va detto che, andando a ritroso, anche i governi precedenti non hanno certo perso il sonno per trovare soluzioni sulla questione prevenzione e sicurezza, mostrandosi invece molto attivi quando c’era da togliere tutele ai lavoratori e stendere un bel tappeto rosso alle imprese e ai loro affari. Ecco perché purtroppo si può sostenere, senza timore di smentita, che i morti di Firenze, i quali hanno nomi e cognomi e avevano vite in carne, ossa, occhi e cuore, ossia Luca Coclite, Mohamed El Ferhane, Bouzekri Rahimi, Mohamed Toukabri e Taoufik Haidar, sono morti invano. Perché anche dopo di loro, una volta esaurita l’onda emotiva, tutto resterà come prima. E si tornerà a parlare di altro, di premierato, di ponte sullo Stretto, di migranti da vessare, di musei, tv e fondazioni da occupare, di tutto quello che costituisce un investimento elettorale. E di lavoro? Poco. Di sicurezza sul lavoro? Niente. Zero. Fino alla prossima strage dentro un cantiere qualsiasi di una qualunque città italiana.

Massimiliano Perna -ilmegafono.org