Qualcuno ha definito la famosa agenda rossa del giudice Paolo Borsellino come “la scatola nera della Seconda Repubblica”. Il magistrato, trucidato il 19 luglio 1992 in via D’Amelio, a Palermo, l’aveva ricevuta in dono dai carabinieri nel Natale del 1991, e fino al 23 maggio 1992, giorno della strage di Capaci, l’aveva tenuta chiusa in un cassetto. Dopo la morte del giudice Falcone, della moglie e degli agenti di scorta, Paolo Borsellino aveva cominciato ad usarla, annotando le sue inchieste, le sue impressioni personali, le piste da seguire, in un tragico periodo in cui il nostro Paese stava cambiando volto a colpi di bombe e sangue. Qualcuno sostiene che sia il diario della consapevolezza di un martirio, quella consapevolezza che Paolo aveva confidato ad Agnese, sua moglie e compagna di una vita. Tutto questo fino al giorno della strage di via D’Amelio, quando la famosa agenda rossa scompare nel nulla, volatilizzata dalla borsa di cuoio del magistrato recuperata dall’auto in fiamme.

Trentun anni dopo, i magistrati di Caltanissetta la cercano a casa del maggiore sospettato, Arnaldo La Barbera, ex capo della squadra mobile della Questura di Palermo. La procura ha fatto perquisire anche le case dei familiari di La Barbera, morto nel 2002, poiché la moglie e una delle figlie del poliziotto palermitano sono indagate per ricettazione aggravata dal favoreggiamento alla mafia. I magistrati nisseni sospettano che l’agenda sia stata trattenuta illegalmente e nascosta. Per questo motivo si sono spinti a entrare nella sede dell’Aisi, i servizi segreti interni, dove lavora proprio la figlia di La Barbera destinataria di indagine.

Il fratello del giudice Borsellino, Salvatore, fondatore e coordinatore del Movimento Agende Rosse, impegnato da anni nella ricerca della verità, si dice perplesso e considera questa ennesima perquisizione un depistaggio. “L’unica certezza che abbiamo è che quella borsa (che conteneva l’agenda rossa) l’ha presa un carabiniere, e mi sembra impensabile che possa averla consegnata a un funzionario di polizia. Sono perplesso sulla tempistica, un po’ strana. E non credo sia casuale che la notizia salti fuori nel momento in cui si cerca di santificare Mario Mori dopo l’assoluzione in Cassazione sulla trattativa Stato-mafia”, riferisce Salvatore Borsellino in un’intervista al sito 19luglio1992.com.

In quell’agenda, Paolo Borsellino aveva annotato le rivelazioni di pentiti non verbalizzate, le sue impressioni sul dossier mafia e appalti; probabilmente aveva appuntato ciò che avrebbe rivelato all’autorità giudiziaria se lo avesse convocato. Paolo Borsellino era in attesa di essere convocato e lo annunciò la sera del 25 giugno 1992, nell’ultimo discorso pubblico, organizzato a Palermo dalla rivista Micromega. Quella sera Paolo Borsellino disse: “In questo momento, inoltre, oltre che magistrato, io sono testimone…questi elementi che io porto dentro di me, debbo per prima cosa assemblarli e riferirli all’autorità giudiziaria, che è l’unica in grado di valutare quanto queste cose che io so possono essere utili alla ricostruzione dell’evento che ha posto fine alla vita di Giovanni Falcone”.

L’agenda, comunque, non è stata trovata. Durante l’esecuzione del decreto di perquisizione, sono stati acquisiti dei documenti riferibili ad Arnaldo La Barbera, anche se non si conoscono ancora i contenuti. Una sola certezza in mezzo a questa nebbia fitta: l’agenda rossa è stata certamente prelevata dalla borsa di cuoio e di lei si sono perse le tracce. Probabilmente chi l’ha fatta sparire, leggendo i contenuti, appena vi ha posato gli occhi sopra, come nel protagonista dell’opera “Il papiro di Torino”, sarà stato “preso da un senso di smarrimento o di vertigine”. Intanto il Paese, tutto il Paese, aspetta ancora la verità.

Vincenzo Lalomia -ilmegafono.org