Ogni tanto si sente qualcuno che pronuncia parole di speranza in un mondo migliore. Talvolta sono parole pronunciate da chi è attivamente impegnato nella costruzione di modelli positivi, nel sociale, nel contrasto all’ingiustizia o alla discriminazione. Altre volte sono parole di gente comune, che si commuove ancora di gioia o di rabbia, che sente il peso degli orrori che ci piovono quotidianamente addosso, sotto forma di notizie, testimonianze, esperienze dirette. Sono quelli ai quali qualcuno spesso rivolge, con tono commiserevole, frasi come “siete troppo buoni”, “troppo sensibili”, oppure etichette dal retrogusto sprezzante, come ad esempio quella di “buonista”. Proprio così, oggi chi conserva ancora umanità, chi non rivolge lo sguardo solo al proprio giardino, chi è capace di altruismo, chi ha il coraggio di denunciare un orrore vissuto, diventa bersaglio o semplicemente è considerato perdente.

Oggi sono i cattivi a rappresentare, a torto, il modello vincente, quello in linea con la velocità di un’epoca che ha troppe cose da inseguire e non vuole sprecare tempo a difendere diritti o a voltarsi indietro un attimo per occuparsi degli ultimi, di chi non può nemmeno iniziare a correre o di chi è caduto e si è fatto male. I cattivi e gli incattiviti sono ovunque e non solo dentro regimi o governi violenti di dittatori o presidenti autoritari che stringono le maglie delle democrazie di molti paesi del mondo. Il cattivismo ha cittadinanza ovunque, batte il tempo delle relazioni quotidiane, è concreto, di carne e ossa, ed è virtuale. Esso è il frutto di anni di confusione, di un cambiamento che ha spinto molto in avanti la tecnica e la comunicazione, dimenticando l’umanesimo, il pensiero, i valori umani che hanno permesso al mondo di progredire nei secoli.

Il cattivismo è il pane quotidiano che la politica ha saputo arraffare e spezzare per creare i discepoli di una nuova dottrina che ha disegnato mostruosità. Ciò che un tempo era osceno, maleducato, fuori luogo, intollerabile, oggi è divenuto normale, tollerato. Sia chiaro, la cattiveria, le brutalità esistevano anche prima, quindi non è richiamandosi a toni conservatori che si risolve la questione. Oggi i cattivi semplicemente trovano più spazio, soprattutto trovano rappresentanze inattese, hanno riconoscimento e mezzi per spargere odio ovunque e influenzare la fisionomia di pensiero di un popolo. Dai bar alle strade, dai social alla politica: il cattivismo è diventato una religione e le sue azioni, i suoi simboli, i suoi volti si moltiplicano a una velocità incontrollabile. Nel marasma della crisi economica pre-Covid e nel caos esplosivo del post-Covid, ci si è dimenticati di arginare il potenziale incremento di crudeltà ed egoismo.

Dietro la retorica del Paese unito, che soffre insieme e riflette sull’inutilità dello scontro e sulla necessità della solidarietà, si nasconde la vera faccia di un’Italia abbrutita da tempo, egoista, spietata, cinica, in costante, famelica ricerca del nemico, vicino o lontano, del bersaglio da colpire. I migranti, le Ong, la comunità LGBTQ, le donne che denunciano uno stupro, i cittadini italiani di origine straniera, i giovani più fragili e così via. Hanno molte facce i bersagli dei cattivi, hanno storie diverse, hanno fragilità o coraggio, il coraggio civile di vivere e combattere quotidianamente dentro un Paese incapace di scrostare le proprie mentalità stantie e macchiate di bigottismo, moralismo ipocrita, patriottismo falso. Inutile rimarcare le responsabilità, ovvie e tangibili, della politica di questi ultimi due decenni. In particolare, il secondo, con il sovranismo capace delle più feroci violenze verbali, delle discriminazioni più becere e delle più atroci strategie politiche, sempre con il dito puntato contro la solidarietà, la diversità, i diritti.

Qualcosa contro cui, dall’altra parte dello schieramento, non ci si è opposti, anzi, spesso si è scelto di seguire la stessa via, di gonfiare i muscoli allo stesso modo, ma con più eleganza, almeno in certi ambiti. Tutto questo ha eccitato le folle, come dentro un’arena, come davanti allo spettacolo cruento dei gladiatori, con lo stesso miscuglio di sangue (degli altri) e fango (il proprio), ma con molto meno eroismo. Così, la violenza e la cattiveria sono cresciute e divenute istituzionali, gonfiandosi sempre di più come acqua sporca dentro un tubo otturato. Fino a esplodere, in atti feroci e orribili e poi, soprattutto sui social, dove persino l’idea di Zuckerberg di aggiungere reaction diverse dal pollice alto del like, trasformarsi in un acido rigurgito di violenza. Così, ad esempio, davanti a notizie tragiche, come se non bastassero i commenti oltraggiosi e spesso ben oltre gli estremi di denuncia, capita di scorrere un elenco infinito di risate (con apposita emoticon), a mo’ di schiaffo in faccia al dolore altrui.

L’ultimo spettacolo indecente di questo popolino molle e cattivo, in ordine di tempo, è stato quello di deridere in maniera pesante e con tanto di commenti sessisti, ovviamente al riparo di uno schermo e di una tastiera, il racconto terribile di Ayda Yespica, modella venezuelana. La Yespica, 39 anni, ha voluto raccontare in tv di aver subito uno stupro da un amico del padre quando aveva 7 anni e di aver rimosso per anni questo terribile dramma. Il ricordo è riaffiorato, come accade spesso in questi casi, cinque anni fa, quando la rimozione è stata abbattuta davanti all’ascolto di un episodio di violenza subito da un’altra donna. Un abuso che la modella sudamericana ha voluto rendere noto per spingere le donne a denunciare, anche dopo anni. Ovviamente, nell’Italia del 2021, quella delle oltre 80 donne assassinate dall’inizio dell’anno, una simile rivelazione da parte di una donna è subito oggetto di scherno e di accuse.

Non viene creduta perché ne ha parlato dopo troppo tempo, non viene creduta perché è un personaggio famoso, non viene creduta perché ha scoperto il suo corpo in molte foto, e così via. In un brulicare di commenti, viene trasportato tutto il carico di sessismo, disumanità, misoginia di cui è fatto il cattivismo web e social e, dunque, la società italiana. Poco importa che altri intervengano a rispondere, perché nessuna risposta sensata, intelligente, umana può mai avere la capacità infettiva di uno slogan o di una frasetta nociva e intrisa di cattiveria. Ormai è la quotidianità e non ha nemmeno più senso dire che i social fanno schifo o vantarsi di non starci dentro, perché il problema rimane.

Il problema è che i codardi e i cattivi dei social sono gli stessi che incrociamo per strada o nel nostro pianerottolo di casa. Agiscono, fanno figli, hanno mogli e figlie, lavorano, anche in settori delicati dove dovrebbe essere garantito il rispetto di certi valori. E votano. E chi i voti li brama e li considera più importanti di ogni cosa, farà di tutto per accontentarli. Alla faccia dell’umanità, della solidarietà, dei diritti. Il cattivismo è il partito di maggioranza di questo Paese, al quale in pochi intendono opporsi realmente. Il cattivismo, soprattutto, è l’opposto della speranza in un futuro migliore.

Massimiliano Perna -ilmegafono.org