Cifre sempre più allarmanti quelle che arrivano dai nostri mari. La concentrazione di microplastiche sale a 1,9 milioni di frammenti per metro quadro. Il tratto preso in considerazione si trova nel Mar Tirreno centrale tra Sardegna, Corsica, Lazio e Toscana. A parlarne recentemente è stata la rivista scientifica “Science”. Si tratta del livello più alto finora registrato e può essere indice di una condizione che potrebbe aumentare nei prossimi anni. Ciò potrebbe essere dovuto alla continua produzione di plastica e al picco di consumi che si sta registrando durante l’attuale emergenza sanitaria.

Nel corso di questa pandemia, infatti, l’incremento della plastica monouso è stato evidente. I motivi che hanno spinto la gente a farne maggior uso potrebbero essere diversi. La paura di uscire, il dover fare la spesa velocemente, la chiusura di determinati mercati che consentivano l’acquisto di prodotti ecologici e la presupposta maggiore igienicità della plastica. Qualunque siano le ragioni, ciò che è sicuro è che al momento si rileva un grosso accumulo di scarti in plastica.

Dinnanzi a questo aumento, il ministro dell’Ambiente, Sergio Costa, ha affermato che non è una giusta scelta quella dell’usa e getta e. per far fronte a questa emergenza, è stato firmato lo statuto per la costituzione del primo consorzio italiano delle bioplastiche, denominato Biorepack. È costituito da 252 aziende, 2600 addetti, 700 milioni di fatturato e tratta ben 90 mila tonnellate di bioplastica. Rientra nell’ambito del Conai, il consorzio degli imballaggi, ed è parallelo al Cic, il consorzio per il compostaggio. L’obiettivo è quello di recuperare il materiale in linea con l’economia circolare e ridurre i conferimenti di materiali non compostabili nella “Forsu” (Frazione organica del rifiuto solido urbano).

In questo periodo è facile trovare per strada mascherine e guanti monouso, che è giusto utilizzare per proteggerci, ma che non bisogna disperdere nell’ambiente. Pare inoltre che sia aumentata la richiesta di cibo imballato, oggi cresciuto del 18 per cento rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente. Anche il cibo d’asporto fa la sua parte, non potendo fare a meno di grandi quantità di contenitori in plastica. Infine, non sussiste un piano nazionale per il recupero delle mascherine e altri dispositivi di protezione individuale, una volta che non sono più utilizzabili.

Sarebbe opportuno trovare imballaggi alternativi a quelli in plastica e soprattutto non abbandonare mascherine e guanti in giro e, qualora sia possibile, utilizzare direttamente quelle lavabili per ridurre il monouso. Degli accorgimenti che nel tempo possono contribuire a salvare l’ambiente.

Veronica Nicotra -ilmegafono.org