In occasione del trentesimo anniversario di Tangentopoli, appare inevitabile chiedersi quanto mafia e corruzione siano presenti oggi nel nostro Paese e quanto il rapporto con questi due mali sia cambiato in questi 30 anni. Posto che si tratta di problemi mai scomparsi dai radar degli inquirenti (e della società civile in generale), quanto in avanti siamo andati come Paese? E quali progressi abbiamo fatto nella lotta e nel contrasto ai fenomeni corruttivi e alla criminalità organizzata?

Questo è quanto è stato chiesto ad un campione di cittadini italiani nel corso del sondaggio realizzato da Demos e Libera, i cui risultati sono stati pubblicati domenica scorsa da L’Espresso (leggi qui). Scopo del sondaggio era quello di quantificare il grado di percezione che i nostri connazionali hanno nei confronti di tali problematiche. Il dato emerso dalla ricerca è piuttosto preoccupante: ben 6 italiani su 10, infatti, ritengono che mafia e corruzione rappresentino a tutti gli effetti una patologia “endemica” di tipo nazionale. La sensazione generale, in poche parole, è che si tratti di problemi che non possono essere risolti perché propri dell’Italia, parte del suo costume, talmente radicati nel senso comune della maggior parte della popolazione da diventare normali o addirittura banali. Una sorta di assuefazione di massa, quindi, che rischia di lasciare sempre più campo libero a questa tipologia di fenomeni criminali.

Il 22% degli intervistati, inoltre, ritiene che, non solo non sia cambiato nulla dal 1992 ad oggi, ma che addirittura le cose siano peggiorate, soprattutto a causa del ruolo sempre più determinante dei cosiddetti “colletti bianchi”, veri e propri artefici di un’infiltrazione mafiosa sempre più profonda e in grado di penetrare, con le sue dinamiche corruttive, in ogni settore. Quasi 8 italiani su 10, infine, ritengono che la corruzione in politica sia lo specchio della società, ulteriore dimostrazione di una sfiducia e di un allontanamento dalla stessa politica che vediamo assumere sempre più forza ad ogni tornata elettorale.

Il problema più grande, comunque, resta “la connivenza tra sistema capitalistico e sistema criminale”. Secondo Don Ciotti, presidente di Libera, si tratta di una piaga frutto della “commistione tra crimine economico e crimine mafioso, commistione resa spesso possibile dalla latitanza della politica in quanto cura e promozione del bene comune”. Tutto ciò è reso possibile grazie ad una strategia di basso profilo intrapresa dalla criminalità organizzata, in grado così di lavorare nell’ombra e lontana dai riflettori. In questo modo, sempre più persone tendono a pensare che la mafia non esista più o che questa sia presente in maniera marginale, quando in realtà “esiste ed è più che mai potente, perché insediata nei gangli dell’economia dei monopoli e del cosiddetto libero mercato, libero ma soggetto alle regole dei più forti”.

Un problema, questo, che già quattro anni fa era emerso proprio da un sondaggio simile realizzato dalla stessa associazione e di cui, anche in quella occasione, avevamo parlato su queste pagine (leggi qui).  Il rischio è, quindi, che si vada incontro a quella assuefazione accennata poco sopra, un rischio da scongiurare ad ogni costo e combattere senza alcun rinvio. Se mafia e corruzione diventassero endemiche nella percezione di tutta la popolazione, significherebbe dare al crimine organizzato molta più forza e trasformare l’economia illegale e le mafie in qualcosa di socialmente accettato, indebolendo completamente la resistenza che è necessario contrapporvi.

Giovanni Dato -ilmegafono.org