C’è un confine molto netto tra chi difende la propria dignità e chi la svende insieme alla prevaricazione, alla codardia, alla paura, al servilismo. A Palermo, la dignità dei primi ha seminato e reso fertile il terreno della libertà e del coraggio civile, mentre quella dei secondi è quasi scomparsa, è divenuta minuscola, si è mischiata ai puntini di luce di una foto segnaletica, si è dissolta dentro l’inchiostro con il quale si sciolgono contratti e si accampano scuse. A Palermo chi difende la propria dignità sono gli imprenditori che denunciano il racket, quelli che non si piegano davanti all’insopportabile pressione mafiosa, quelli che non abbassano la testa e la schiena di fronte ai parassiti, violenti e vigliacchi, che cercano di lucrare sul lavoro e sulle spalle degli altri.

Palermo, che per decenni ha visto la sua bellezza deturpata dalla mafia e ha sentito il rumore del piombo sulla pelle di chi aveva detto no apertamente alla mafia e al racket, è una città che oggi non accetta facilmente di tornare indietro. La dignità degli onesti ha trovato esempi, ha percorso il tempo, ha trovato il suo naturale megafono dentro i manifesti di Addiopizzo che quella dignità la reclamavano, o dentro le diverse associazioni antiracket che sono nate. Ecco perché non stupisce che a Palermo si legge spesso di estortori denunciati e arrestati grazie alla collaborazione delle vittime. È accaduto ancora in queste settimane, in questi ultimi giorni. È successo che un giovane imprenditore edile, che stava facendo lavori di ristrutturazione nella zona della Vucciria, dopo essere stato avvicinato da chi gli chiedeva di “mettersi a posto” con chi controlla la zona, abbia deciso di non accettare, di prendere tempo.

Così, nel suo cantiere sono iniziati i furti. Fino a quando la richiesta non è diventata chiara: se paghi puoi lavorare tranquillo. È l’assicurazione illegale della mafia, in realtà è semplicemente un meccanismo da miseri parassiti, che a volte si manifesta anche in altri modi di esercitare pressioni. Dopo quella nuova richiesta, quel giovane imprenditore, ha deciso di rivolgersi all’associazione antiracket “Solidaria” e quindi alle forze dell’ordine. In questo modo, due estortori, parenti di boss o rampolli di famiglie mafiose sono stati arrestati. Un atto di giustizia e di libertà, quello della denuncia, che naturalmente trova il plauso delle associazioni antiracket e delle forze dell’ordine, che da anni invitano a denunciare, e anche di quella parte della cittadinanza che rifiuta di piegarsi alle logiche mafiose. Una parte della cittadinanza, appunto, quella che la dignità ce l’ha e la protegge. Perché poi, invece, c’è un’altra parte che non plaude e anzi perfino si stizzisce. Per loro, chi denuncia sbaglia, per loro chi denuncia è un fesso o un pazzo, o persino un ingrato.

In questa ultima vicenda di coraggio civile e di dignità luminosa, pertanto, c’è un’ombra, una macchia insopportabile. C’è la reazione dei proprietari dell’appartamento che l’imprenditore edile stava ristrutturando. Proprietari che hanno licenziato quell’imprenditore, sospeso il rapporto di lavoro con lui, ufficialmente per ritardi nei lavori. Guarda caso proprio adesso che è arrivata la notizia della denuncia e del duplice arresto. Questa è la Palermo complice, quella che non vuole cambiare e non si vergogna a mostrarla pubblicamente questa volontà funesta. È un brutto segnale, un boccone troppo amaro per chi ha optato per la giustizia, per chi ha preferito la dignità alla schiavitù e alla sopraffazione. Poco importano le ragioni ufficiali, perché davanti a un atto civile, la reazione attesa dovrebbe essere la solidarietà. Ci si attenderebbe la condivisione di quell’azione e la voglia di dare un segnale a tutti, un segnale di libertà e anche di convenienza di una scelta di legalità, rispetto a quella dell’asservimento alle mafie. Un imprenditore che denuncia, che per la sua resistenza subisce furti e quindi probabilmente anche qualche rallentamento, va tutelato non licenziato.

Chiudere i rapporti, anche se il motivo fosse quello di un ritardo nei lavori, significa dare un segnale alle mafie, scegliere di stare dalla parte del loro sistema di gestione e di controllo della zona. I proprietari avrebbero fatto meglio a dire che hanno paura, che temono ritorsioni, che la loro è una scelta codarda e non professionale. La loro è una scelta ad orologeria. Purtroppo, come detto in principio, esiste un confine molto netto tra chi difende la propria dignità e chi la svende. Lo stesso confine che, per fortuna, hanno varcato in direzione giusta e in maniera netta altri cittadini che, invece, come ha raccontato il TGR Sicilia, hanno manifestato vicinanza e affermato di voler affidare all’imprenditore edile altri lavori, anche nella stessa zona, proprio come segno di solidarietà e stima per la sua volontà di denunciare. Ci auguriamo che sia così e che la Palermo antimafiosa, quella che, sulla propria pelle, è divenuta avanguardia nella lotta alla mafia, possa circondare questo imprenditore di tutta quella solidarietà attiva necessaria affinché la sua azione di coraggio non si trasformi in beffa.

Massimiliano Perna -ilmegafono.org