“La situazione del paese sarebbe migliore oggi, se la dittatura avesse ucciso più persone”. Sono le parole che Jair Messias Bolsonaro pronunciava davanti alle telecamere durante la campagna elettorale che lo avrebbe portato a diventare il presidente del Brasile nel gennaio 2019. Ex ufficiale dell’esercito brasiliano negli anni della dittatura militare, Bolsonaro non ha mai nascosto il disprezzo nei confronti dei “desaparecidos”, vittime del regime militare brasiliano, arrivando ad umiliare i loro familiari dichiarando che: “Chi cerca ossa, è un cane”. In quell’inferno creato da macellai in divisa c’erano anche le ossa di un ragazzo di Calabria nato a San Lucido, in provincia di Cosenza. Si chiamava Libero Giancarlo Castiglia, e i suoi Compagni lo chiamavano “Joca”.

Sulla sua storia, Alfredo Sprovieri ha scritto un libro, pubblicato nel febbraio 2018, che in molti dovrebbero leggere e che sicuramente Matteo Salvini non ha mai letto: “Joca, il ‘Che’ dimenticato”. Racconta la storia di quel ragazzo partito dalla Calabria per cercare lavoro e fortuna, una strada che nel nostro Paese in molti hanno conosciuto nel ‘900. Libero Giancarlo Castiglia, Joca, era un bravo operaio metalmeccanico ed un operaio comunista. Aveva imparato a conoscere il Brasile di quel tempo, scriveva e collaborava con un giornale operaio che si chiamava “Classe Operaia” e questo lo portò a diventare un obiettivo degli squadroni della morte. Era un attivista, un “antagonista”, come si usa descrivere oggi anche nel nostro Paese chi si oppone, chi non si inchina al potere. Venne arrestato e torturato, perché la morte arriva sempre puntuale all’appuntamento.

Jair Messias Bolsonaro nel 2019 diventa così presidente del Brasile, da uomo forte che rimpiange la dittatura. Raccoglie i voti della destra razzista e violenta che non accetta e non capisce la bellezza e il valore della sua storia e delle sue origini. Quella bellezza e quella storia raccontano di un popolo dell’Amazzonia, dei suoi indios. Il primo atto di Bolsonaro, appena arrivato al potere, sarà quello di cancellare i poteri all’ente di tutela dei nativi per assegnarli a una ministra leader dei latifondisti. “Signor presidente, le nostre terre non sono zoo, come lei ha detto, sono la nostra casa. Occupano il 14 per cento del Brasile e a lei sembra tanto. Come giudica il fatto che i latifondisti possiedono oltre il 60 per cento del territorio?”. È il primo passo della lettera aperta inviata al presidente Bolsonaro dalle comunità amazzoniche Aruak Baniwa e Apuriña.

La repressione esercitata nei confronti degli indigeni dell’Amazzonia non si nutre solo di razzismo xenofobo, ma è mossa anche da interessi economici mai nascosti anche durante la sua campagna elettorale: “Non c’è territorio indigeno in cui non siano presenti minerali. In queste terre – e specialmente in Amazzonia, che è l’area più ricca al mondo – si trovano oro, stagno e magnesio. Non mi farò coinvolgere da questa pagliacciata di difendere la terra per gli Indiani. Se diventerò ‘presidente, non ci sarà un solo centimetro in più di terra indigena” La storia del Presidente Bolsonaro è una storia di ferocia e di violenza, esercitata in ogni sua forma: prima come ufficiale dell’esercito durante gli anni della dittatura militare e, successivamente, come presidente del Brasile. La sua ferocia coinvolge tutti gli aspetti della società e le vittime di questa ferocia sono molteplici: gli indigeni, il movimento operaio e i sindacati, i comunisti, le donne e i movimenti femministi, l’omosessualità.

Il Brasile racconta mille storie di repressione e di violenza politica, ognuna di queste storie ha un nome e un volto: da Libero Giancarlo Castiglia, Joca, agli indigeni dell’Amazzonia. Un nome e una storia impossibile da dimenticare è quello di Marielle Francisco da Silva: donna, nera e lesbica, arrivava dai bassifondi per lottare contro un sistema machista e omofobico, marcio e corrotto. È per questo che verrà assassinata pochi mesi prima delle elezioni politiche che porteranno Bolsonaro alla guida del Brasile. Di fronte alla sua morte il silenzio di Bolsonaro diceva tutto e per lui parlava la stampa fascista sua amica, che attribuì l’assassinio di Marielle alle bande criminali che agivano nel Paese e nulla di più, accusando la sinistra di voler sfruttare politicamente l’omicidio di Marielle.

Si arriva infine alla pandemia dei nostri giorni, quando il presidente è fra i più attivi e intransigenti nella negazione del virus con le centinaia di migliaia di morti seppelliti nelle fosse comuni, e di cui la politica negazionista del governo di Bolsonaro è responsabile. Eppure, tutto questo non basta, come non fosse vero. In questi giorni il boia brasiliano è ospite in Italia, per la precisione ad Anguillara Veneta, in provincia di Padova, dove gli viene attribuita la cittadinanza onoraria. La destra razzista, xenofoba e fascista lo accoglie e lo applaude. A Padova la polizia carica e reprime con i manganelli e gli idranti i manifestanti che si oppongono a questa visita e a questa onorificenza.

Poi si reca a Pistoia dove il capo della Lega, Matteo Salvini, lo abbraccia e lo difende, arrivando al punto di scusarsi con lui a nome dell’Italia per le proteste che hanno fatto da cornice al suo arrivo: “Voglio scusarmi con il popolo brasiliano per le polemiche nei confronti del presidente Bolsonaro venuto qui per onorare i caduti brasiliani morti per la nostra libertà, che hanno combattuto fascisti e nazisti sul serio…Mi scuso a nome del popolo italiano. Mi sembra imbarazzante la polemica verso una persona che è stata ricevuta da Mattarella e Draghi”.

Jair Messias Bolsonaro era anche a Roma, in occasione del vertice del G20. In un’intervista rilasciata a Sky TG24 ha raccontato un’altra storia, mentendo e sapendo di mentire: “Per combattere la crisi economica durante la pandemia, credo di essere stato l’unico capo di Stato nel mondo contrario al lockdown. L’Amazzonia non brucia, noi combattiamo i disboscamenti illegali. Purtroppo, in Brasile c’è una guerra di potere e diversamente da chi mi ha preceduto c’è molta critica su di me per quanto riguarda l’Amazzonia. Tuttavia, l’Amazzonia non prende fuoco, è una foresta umida, prende fuoco soltanto nelle sue zone periferiche, qui ci sono stati disboscamenti illegali che noi combattiamo. Lo facciamo così bene che la stampa non dice più niente su questo”.

Sembra incredibile, ma è così che è andata. Il mondo si consuma e brucia su se stesso. Gli uomini come Jair Messias Bolsonaro sono i primi incendiari, e accanto a lui sono in tanti a versare benzina sul fuoco. Ogni angolo del mondo ha il suo Bolsonaro da cui difendersi, molti abitano anche in casa nostra. Queste scorie di umanità vanno combattute e contrastate con tutte le energie e con tutta la forza delle idee, la sola arma che abbiamo a disposizione. L’incendio è già in atto e il tempo corre in fretta, tocca a noi saper correre più veloci.

Maurizio Anelli -ilmegafono.org