Lo scorso 21 marzo, il Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria (DAP) ha inviato una nota a tutti penitenziari italiani in cui si chiedeva di fornire i nomi di detenuti aventi determinate peculiarità. Nello specifico, si è fatto riferimento all’età (oltre i 70 anni), la presenza o meno di una o più patologie e, cosa molto importante, il periodo previsto prima della scarcerazione (massimo 18 mesi). Tutto ciò, come dichiarato dalla direzione generale dello stesso dipartimento, avrebbe avuto come unica motivazione quella di fare un vero e proprio monitoraggio della situazione attuale nelle carceri, soprattutto a seguito delle rivolte e dei tumulti che si sono verificati soltanto un mese fa e del potenziale rischio di contagio da Covid-19 in luoghi così densamente affollati.

Come si può immaginare, la pubblicazione di una nota del genere ha generato grande fermento sia negli ambienti giudiziari che nella politica e nella società civile, soprattutto perché si teme che da ciò possano scaturire richieste di scarcerazioni da parte dei detenuti o, cosa ancor più grave, o che l’emergenza virus possa dar luogo a una sorta di indulto mascherato sotto forma di provvedimenti a tutela dalla salute. Tanta confusione, quindi, che merita qualche precisazione.

Innanzitutto, la circolare inviata dal DAP non ha alcun potere esecutivo. In secondo luogo, si parla di differimento di pena e non di scarcerazione. Inoltre, a differenza di quello che in maniera del tutto falsa e strumentale sostengono alcuni esponenti politici (e qui, citando il premier Conte, bisogna fare nomi e cognomi ancora una volta: Matteo Salvini), non è stato il governo ad emettere norme che consentano il differimento di pena a boss mafiosi o a detenuti altamente pericolosi. Nel decreto Cura Italia non si fa alcun riferimento alla scarcerazione di criminali, qualunque sia il loro grado di pericolosità. Chi lo sostiene, come fanno Salvini e i soliti giornali abituati a produrre fake news, mente di proposito e spudoratamente.

L’obiettivo della nota del DAP era esclusivamente quello di avere un quadro generale della situazione e della condizione in cui riversano i carcerati in un momento pericoloso per l’essere umano come quello che stiamo vivendo. Non bisogna dimenticare, infatti, che lo Stato italiano è (ancora, per fortuna) uno Stato di diritto e prevede cure mediche e attenzione alla salute per ogni individuo, anche per i detenuti. D’altro canto, però, nella missiva del DAP mancano dettagli troppo importanti, tra cui la situazione giudiziaria: in poche parole, non si fa distinzione fra i detenuti al 41 bis, quelli che stanno nei reparti di Alta Sicurezza e tanti altri. Il rischio, insomma, è che tale monitoraggio venga scambiato per un “libera tutti” al quale i legali dei boss possano appellarsi, ed è su questo che il ministero della Giustiza, stando alle parole del ministro Bonafede, vuole indagare.

A preoccupare davvero, però, non è tanto il DAP in sé, quanto il ruolo e il comportamento dei Tribunali e dei giudici di sorveglianza. La possibilità, infatti. di accogliere una richiesta di differimento della pena spetta solo ed esclusivamente al giudice di competenza e questo è quel che è successo proprio qualche settimana fa. A Milano, infatti, il giudice del Tribunale di sorveglianza ha deciso di concedere gli arresti domiciliari a Francesco Bonura, uno dei boss più importanti di cosa nostra e “colonnello” di Bernardo Provenzano per diversi anni. Bonura, tra i costruttori edili più ricchi della Palermo degli anni ‘80 ed esponente di spicco della mafia siciliana, era stato condannato a 18 anni nel 2012 che stava scontando nel carcere di Opera del capoluogo lombardo. Nella nota rilasciata dal giudice si legge che tale provvedimento sarebbe stato preso per “evidenti motivi di salute”, anche tenuto conto dell’attuale situazione d’emergenza.

E questo è il punto decisivo. A Bonura, 78enne malato di cancro e con una recidiva tumorale in corso, mancano 9 mesi di pena da scontare. Quindi, il differimento della pena poteva essere richiesto e accolto a prescindere dal rischio virus. L’indicazione, accanto ai motivi di salute, anche del rischio connesso al Covid-19 è ciò che potrebbe creare un pericoloso precedente. Tra gli altri boss che hanno ottenuto il differimento di pena bisogna citare il calabrese Rocco Filippone (condannato e detenuto in regime di Alta Sicurezza) ,Vincenzino Iannazzo, uno dei boss più importanti della ‘ndrangheta di Lamezia Terme. e Filippo Toscano, reggente dell’omonimo clan di Biancavilla (Ct), tornato a casa da diversi giorni per via del rischio connesso al coronavirus.

Il timore è che adesso anche altri boss, di calibro maggiore e ancora molto influenti, con patologie ed età avanzata, tra i quali Leoluca Bagarella, Nitto Santapaola, Piddu Madonia, Pippo Calò, possano appellarsi al rischio Covid-19 per poter ottenere il differimento della pena. Le associazioni antimafia e molti familiari delle vittime di mafia hanno espresso legittime preoccupazioni, mentre il ministro Bonafede ha assicurato che verificherà e accerterà il tutto, nel rispetto dell’autonomia della magistratura. Ciò detto, va chiarito che prendersela con la circolare del DAP o, come fanno alcuni, col governo (che in tutto questo c’entra poco o niente), è un errore.

L’unica cosa da fare è vigilare e chiedere ai giudici di sorveglianza di agire con buonsenso e senza dimenticare la caratura criminale di certi detenuti e la loro intatta capacità di comando. Bisogna far presente con chiarezza e con forza che provvedimenti del genere, seppur spinti da motivi all’apparenza validi, rischiano di mandare in fumo anni e anni di lotta alla criminalità organizzata, di sacrifici (economici e non), di indagini colossali. Non solo: tutto ciò rischia di trasformarsi in un vero e proprio insulto alla memoria delle vittime di mafia, che da questi boss sono stati condannati a morte e uccisi. La salute è un diritto inalienabile, ma le cure vanno prestate senza che vengano trasformate in occasioni per ammorbidire la pena detentiva e il controllo dello Stato su chi con quello Stato non ha mai voluto collaborare.

Giovanni Dato -ilmegafono.org