“C’è un soffio di vita soltanto” è il titolo di un film del 2021, opera di Matteo Botrugno e Daniele Coluccini, alla loro prima esperienza nel campo della non-fiction, che racconta la storia e la vita quotidiana di Lucy Salani, la donna transessuale più anziana d’Italia, unica donna transgender sopravvissuta ai campi di sterminio nazisti. Quando viene girato il film Lucy ha 96 anni e i due registi la seguono nella vita di tutti i giorni a Bologna e in alcuni momenti a Dachau, dove era stata invitata per le celebrazioni del 75º anniversario della liberazione del campo. Il titolo del documentario è preso da un verso finale di una poesia scritta da Lucy stessa. Il 22 marzo 2023, alle soglie dei cento anni di vita, Lucy, in punta di piedi, se ne è andata, lasciando un vuoto enorme in chi l’ha conosciuta.

Ma chi era, chi è stata Lucy? Lucy Salani nasce nel 1924 come Luciano Salani, a Fossano, in Piemonte, e cresce a Bologna. Antifascista, dopo aver disertato sia l’esercito fascista italiano che quello nazista, viene deportata a Dachau nel 1944, dove rimane sei mesi, fino alla liberazione del campo nel 1945. In seguito, ha vissuto a Torino, lavorando come tappezziera e frequentando l’ambiente transgender italiano e parigino. Di ritorno a Bologna negli anni ‘80, vi si è stabilita dopo la pensione. La sua storia è diventata nota negli anni dopo il 2010, grazie al lavoro della scrittrice e regista Gabriella Romano, che le ha dedicato due opere. Salani è considerata dal Movimento Identità Trans l’unica persona transgender italiana ad essere sopravvissuta alle persecuzioni fasciste e naziste ed è per questo che la sua storia, le opere di Gabriella Romano e il film di Botrugno e Colaccini, sono diventate, anche loro, un simbolo di libertà, la stessa libertà con cui ha vissuto Lucy Salani, nonostante tutto il male che ha dovuto subire.

“Il mio nome originario è Salani Luciano, però nella vita ho preso parecchi nomi – racconta Lucy nel film – ma io mi chiamo Luciano. Quante volte me l’han chiesto di cambiar nome…, ho detto no, me l’hanno dato i miei genitori, è sacro”. Raccontando la sua esperienza a Dachau continua: “Mi avevano dato la mansione di prendere tutti i cadaveri che alla notte morivano e mettergli una targhetta e il suo numero, perché non c’era un nome, c’era un numero; poi li caricavamo sopra un carro e li portavamo al crematorio. Quello che ho visto era allucinante”. Dopo la morte di Lucy, abbiamo sentito Matteo Botrugno, uno dei due registi del film, che, scosso dalla morte, ha voluto aspettare una settimana, prima di rilasciarci un breve intervista e un suo commosso ricordo personale.

“Ci siamo conosciuti alla fine del 2019 – racconta –. Daniele Coluccini vede su Facebook l’intervista di Lucy a Dachau, mentre racconta la sua vita durante il regime fascista, e dall’ascolto di quelle parole ci siamo detti: cerchiamola, vediamo di fare un film”. Grazie a un giro di persone che facevano rete intorno a Lucy è arrivata la proposta e, dopo un primo momento di dubbi, Lucy accetta, iniziano le riprese, inizia un rapporto particolare, che da professionale diventa amicale, affettivo, speciale. “Abbiamo deciso di rinunciare a qualche storia per far raccontare a Lucy la sua vita, la vita trascorsa e quella di ogni giorno, attraverso i suoi ricordi e le sue emozioni. Lucy era un essere umano particolare, complesso, capace, come poche persone, di relazionarsi con se stessa, su se stessa, con una consapevolezza di quello che è stata, difficile da trovare nelle altre persone. Lucy è stata prostituta, lavoratrice, madre, figlio, figlia, anziana e con ognuna aveva fatto i conti, con ognuna di queste figure era riuscita a fare pace, a trovare serenità”.

“Il nostro è stato un rapporto particolare, speciale – continua Matteo Botrugno – e anche se eravamo pronti, preparati, all’idea che, insomma, una persona di cento anni potesse andarsene da un momento all’altro, abbiamo fatto in modo di vederla il più possibile e di divertirci con lei. Questa è una cosa forse un po’ strana o che può suonare strana: ma come, ti diverti con una signora di cent’anni? Sì, perché oltre alla sua vita complicata era anche una persona che sapeva prendere anche il lato bello e positivo della vita e sapeva connettere le persone come ha fatto con noi, mettendoci in connessione con tutte quelle persone che si sono occupate di lei, fino alla fine, fino all’ultimo dei suoi giorni”. Bellissimo il ricordo personale di Matteo: “Lucy, per quanto riguarda me in particolare, è quella persona che vorresti essere un giorno, con quella consapevolezza e quella capacità di razionalizzare, non in maniera fredda, quella capacità di sapersi rendere conto delle situazioni, di averle elaborate e di aver fatto poi della libertà la propria bandiera. Questa è l’eredità più grande che ci lascia Lucy”.

Botrugno e Coluccini hanno trovato la chiave perfetta in uno sguardo semplice e carico di attenzioni, si sono messi «al servizio» di Lucy Salani, delle sue parole, del suo volto, del suo vissuto, della sua quotidianità, della sua incredibile memoria (anche quando recita poesie scritte quando era giovane), dei suoi ricordi drammatici e tragici (quando, appunto, durante l’internamento, fu costretta ad ammassare i cadaveri sulle carriole), così come dell’orgoglio delle sue scelte e della straordinaria energia che possiede ancora oggi – scrive Giuseppe Gariazzo sul Manifesto – “nel porsi come figura di r/esistenza in un mondo che sta tornando a manifestare grevi intolleranze e a far sì che la sua esperienza assuma un valore di potente militanza”.

Nel film, accanto alle scene della sua vita quotidiana, nel modesto appartamento nel quartiere bolognese di Borgo Panigale in cui ha abitato, scorrono, attraverso le sue parole, i ricordi di una vita. A partire da quello, appunto, di una sua poesia, scritta da giovane, dal cui verso finale è tratto il titolo del film: “Riposan le foglie ingiallite su un mondo di cose appassite c’è un soffio di vita soltanto”.

Vincenzo Lalomia -ilmegafono.org

 

Ascolta qui sotto il podcast con le parole di Matteo Botrugno, uno dei due registi del film sulla storia di Lucy.