Alla fine Giusy Pollara, figlia del noto costruttore Salvatore Pollara ucciso dalla mafia nel 1983, è riuscita a vincere la propria battaglia contro la Regione Sicilia e gli impicci burocratici di cui quella terra è spesso terreno fertile. Una battaglia, questa, che se si fosse risolta in maniera opposta avrebbe non solo delegittimato ancor di più l’operato del presidente Musumeci e della Regione, ma avrebbe soprattutto offeso la memoria e il rispetto che si deve a tutte quelle vittime di mafia cadute sotto il peso del piombo mafioso. Quanto accaduto in queste ultime settimane in Sicilia ha visto confrontarsi il diritto con l’ottusità della burocrazia. Veniamo ai fatti.

Secondo la legge regionale istituita nel 1999 (“Nuove norme in materia di interventi contro la mafia e di misure in solidarietà in favore delle vittime della mafia e dei loro familiari”), tutti i familiari di chi è stato ucciso dalla criminalità organizzata avrebbero diritto ad un posto di lavoro nelle sedi dell’amministrazione pubblica e negli uffici della regione. Una sorta di risarcimento (incomparabile alla perdita stessa, sia chiaro) con cui lo Stato decide di farsi carico dei familiari di quei cittadini che non è riuscito a proteggere. Un contentino, certo, ma che allo stesso tempo permette a chi è rimasto di poter andare avanti, di lavorare per lo Stato nonostante la ferita e la sofferenza patita.

Così avrà pensato la stessa Giusy, la quale, godendo anch’essa dello status predetto, a luglio scorso ha fatto richiesta d’assunzione presso gli uffici della Regione. Richiesta che, stando a quanto emerso da una nota rilasciata dall’associazione Libera, pare sia stata rigettata da Palazzo d’Orleans poiché “l’evento criminoso, che costituisce il presupposto all’assunzione, si è verificato anteriormente all’entrata in vigore” della legge di cui sopra. In effetti, nel 2008 la Regione aveva emesso una modifica alla legge in cui si fissava come data limite per l’accesso a tale riconoscimento proprio il 1999, annullando così ogni effetto di retroattività. Messa così, quindi, la richiesta della Pollara e quelle di tanti altri parenti delle vittime di mafia non godrebbero del requisito necessario.

A far da contraltare, però, ci sarebbe una lista emersa nel corso di queste ultime settimane in cui figurerebbero i nomi di ben 131 familiari assunti dopo il 2008, ma la cui data di morte delle persone a loro legate sarebbe precedente al 1999. Tale lista, impugnata dagli avvocati della Pollara davanti al Tar, ha permesso così di ribaltare la decisione presa dalla Regione e di far ottenere a Giusy un posto come di diritto. Il problema, ad ogni modo, rimane e resta pericoloso. Il rischio, nello specifico, è che si vengano a creare due categorie di familiari delle vittime: una sorta di Serie A e di Serie B del dolore, dove se questo è meno recente assume di fatto un valore pari allo zero, relegando così nel dimenticatoio non solo la memoria della persona uccisa, ma anche di tutti coloro che quel dolore lo portano ancora dentro.

È proprio per questo che Libera si sta battendo e si batterà nei prossimi mesi. Per fare in modo che casi del genere non si ripetano (evitando così anche una confusione che non fa certo bene all’immagine già sbiadita di una classe politica piuttosto distratta in tema di lotta alle mafie), l’associazione di Don Ciotti ha infatti chiesto, in una nota scritta inviata alla Regione, che la legge di cui sopra venga modificata quanto prima e che la stessa torni alla versione originale in cui non vi era alcuna disparità o distinzione sui tempi. A tal proposito Claudio Fava, presidente della Commissione regionale antimafia, ha ribadito che “il criterio attualmente adottato è profondamente ingiusto e discriminatorio, in contrasto, peraltro, con lo spirito originale dell’intervento regionale”. “Auspichiamo – ha aggiunto Fava – che in tempi brevissimi il governo regionale intervenga risolvendo l’incomprensibile diversità di trattamento tra i familiari delle vittime di mafia”.

Giovanni Dato -ilmegafono.org