È morto il 7 maggio Ibrahim Gökçek, bassista del Grup Yorum, gruppo musicale che per anni è stato il cuore pulsante di una Turchia opposta al regime del presidente Recep Tayyip Erdogan. Ibrahim il 6 maggio aveva sospeso lo sciopero della fame durato 323 giorni dopo che la magistratura aveva accettato una delle loro richieste: quella di esibirsi in un concerto. Era stato portato in ospedale appena annunciata la sospensione dello sciopero, le sue condizioni si erano aggravate nella notte, quando era stato necessario fare una trasfusione di sangue in quanto “il suo corpo ne è privo”, come aveva dichiarato ufficialmente Grup Yorum. Ed è stato lo stesso gruppo a dare la tragica notizia. Le loro note erano la lotta per la libertà, per quei diritti negati e deturpati da una violenta dittatura, prima che il regime di Erdogan facesse a pezzi la libertà d’espressione negando loro la possibilità di esibirsi, distruggendo i loro strumenti durante una retata e, infine, inserendoli nella lista sotto la dicitura “terroristi”.

Perché terrorismo per lo Stato Turco è ogni forma d’arte: la pittura, la musica, la scrittura, così come lo sono il giornalismo e ogni forma libera di espressione. Ma Ibrahim Gökçek nella sua ultima lettera è stato chiaro e con una forza disarmante ha descritto la realtà cruda che ora brucia sulla pelle: “Dalla mia camera da letto – si legge nella lettera – in una delle baraccopoli di Istanbul, guardo fuori dalla finestra il giardino. Uscendo, potevo vedere il Bosforo di Istanbul un po’ più lontano. Ma ora sono a letto e peso solo 40 chili. Le gambe non hanno più la forza di trasportare il mio corpo. Al momento, posso solo immaginare il Bosforo. Sono sul palco, con la cinghia della chitarra attaccata al collo, quella con le stelle che mi piace di più…Di fronte a me, centinaia di migliaia di persone, con i pugni alzati, cantano “Bella Ciao”. La mia mano batte le corde della chitarra come se fosse la migliore del mondo…Le gambe sono forti… Potrei fare avanti e indietro da Istanbul”.

Queste due affermazioni – continua Ibrahim – sono reali. Entrambe sono mie, sono la nostra realtà. Perché vivo in Turchia e faccio parte di un gruppo che produce musica politica. E così, la mia storia rappresenta la grande storia del mio Paese. Oggi sono passati 310 giorni da quando non mangio. Diciamo che ‘Mi esprimo per fame’ o che ‘Mi hanno tolto il basso e per esprimermi uso il mio corpo come strumento’. Mi chiamo Ibrahim Gökçek. Per 15 anni ho suonato il basso nel ‘Grup Yorum’. Il Grup Yorum, creato 35 anni fa da 4 studenti, ha una storia a scacchi come quella della Turchia. Questa storia ci ha portato fino ad oggi ad uno sciopero fino alla morte per potere fare di nuovo concerti. Una di noi, la mia cara compagna Helin Bölek, è morta il 3 aprile, il 288 ° giorno di sciopero della fame illimitato. Sono io che ho raccolto il testimone. Forse ti chiederai: ‘Perché i membri di un gruppo musicale fanno uno sciopero della fame fino alla morte? Perché preferiscono un mezzo di lotta tanto spaventoso come lo sciopero della fame illimitato?’. La nostra risposta è nella realtà bruciante che ha portato Helin a sacrificare la vita a 28 anni e che mi spinge a dissolvermi ogni giorno di più: siamo nati nelle lotte per i diritti e le libertà iniziate in Turchia dal 1980”.

Abbiamo pubblicato 23 album – continua la lettera – per riunire cultura popolare e pensiero socialista. 23 album venduti in totale per oltre 2 milioni di copie. Abbiamo cantato i diritti degli oppressi in Anatolia e in tutto il mondo. In questo paese, tutto ciò che vivevano coloro che combattevano per i loro diritti, gli oppositori, coloro che sognavano un paese libero e democratico e anche noi che cantavamo le loro canzoni, vivevamo le stesse cose: eravamo guardati a vista, imprigionati, i nostri concerti erano proibiti, la polizia ha invaso il nostro centro culturale e fracassato i nostri strumenti. E per la prima volta con l’AKP al governo della Turchia, siamo stati inseriti nella lista dei ‘ricercati terroristi’. Questo è il motivo per cui oggi ho deciso, anche se ti sembrerà folle, di smettere di mangiare”.

Perché, nonostante la qualifica che mi è stata data – conclude – non mi sento assolutamente di essere un terrorista. Il motivo per cui siamo stati inseriti in questo ‘elenco terroristico’ è il seguente: nelle nostre canzoni parliamo di minatori costretti a lavorare sotto terra, di lavoratori assassinati da incidenti sul lavoro, di rivoluzionari uccisi sotto tortura, di abitanti dei villaggi il cui ambiente naturale viene distrutto, di intellettuali bruciati, di case distrutte nei quartieri popolari, dell’oppressione del popolo curdo e di quelli che resistono. Parlare di tutto ciò in Turchia è considerato ‘terrorismo’. Coloro da 30 anni pensano che non è più tempo di socialismo internazionalista e che un’arte come la nostra non abbia pubblico si sbagliano”.

Il 6 maggio, giorno della decisione della magistratura turca di consentire le esibizioni, le condizioni di Ibrahim sono diventate ancora più gravi, poi nella notte c’è stato un peggioramento. Gli è stata fatta una trasfusione di 3 litri di sangue in quanto, stando alle comunicazioni ufficiali del Grup Yorum, “non c’era più sangue nel suo corpo”. Ibrahim Gökçek ha lottato con tutta la vita fino a quando la morte non ha sradicato via ogni speranza, una morte che aveva già strappato alla vita anche Helin Bölek, giovane cantante del gruppo di soli 28 anni, che aveva abbracciato lo sciopero della fame come firma di lotta e protesta, morta nei primi giorni di aprile. Dopo 20 giorni, un secondo membro del gruppo, Mustafa Koçak, 29 anni, aveva perso la vita dopo 297 giorni di sciopero della fame in un’umida prigione dove consumava i suoi giorni in attesa di una giustizia mai arrivata.

Mustafa era finito in carcere per delle accuse fatte da un anonimo che affermava di averlo visto vendere armi a terroristi. Nessuna prova reggeva in piedi le accuse mosse al giovane ragazzo, il quale era stato condannato all’ergastolo. Quasi sempre gli stessi capi d’accusa verso chi si muove controcorrente al regime turco di Erdogan. “Non mi sento bene. Sento il mio sangue scorrere giù verso i piedi. Non credo di riuscire a sentirvi domenica. Vi voglio bene”,  aveva detto Mustafa nell’ultima chiamata ai suoi genitori. Pochi giorni dopo il corpo ha ceduto. Helin, Mustafa e Ibrahim sono gli eroi della libertà in uno Stato che ne assassina ogni forma.

Sul ritorno dei superstiti del Grup Yorum alle esibizioni, Nur-Gül Cokgezici, attivista, mediatrice culturale ed educatrice in una scuola superiore di Milano, ci esprime tutti i sui dubbi e ci avvisa sui possibili rischi per loro: “Sono previste tre piazze per loro. La prima data del concerto è il 3 luglio. La Turchia è un Paese imprevedibile, non sappiamo se attenteranno di nuovo alla loro libertà. Parte del gruppo è ancora in carcere. Coloro che si esibiranno sono sempre nella lista che la Turchia addita come terroristi. Se li arresteranno? Non lo so. Può succedere davvero di tutto. Le minacce verso ogni forma di espressione e libertà sono onnipresenti persino nei miei confronti”.

Minacce che violentano la vita, che violano i diritti umani a livello internazionale. Ancora una volta Erdogan si macchia di crimini contro l’umanità. Ma dov’è la Corte internazionale dei diritti dell’uomo di fronte a vite che si spengono come candele lasciate bruciare nel buio? Dove sono i diritti umani di fronte ad uno Stato in perenni accordi commerciali con il nostro Stato? Giovani donne e uomini hanno dato la vita, si sono affamati per far vedere al mondo intero quanto la fame stessa di vita, giustizia, libertà e diritti sia forte. Helin, Mustafa e Ibrahim hanno mostrato alle nostre coscienze che la dittatura uccide e che non è poi così distante da noi. Che almeno la loro musica ora sia libera e risuoni in ogni angolo del mondo.

Rossella Assanti -ilmegafono.org