Il Salone del libro di Torino è diventato per giorni un caso politico. Lo è diventato a causa della annunciata presenza di AltaForte, nei fatti la casa editrice di CasaPound e dei loro sostenitori e simpatizzanti, ministro dell’Interno in testa. Una casa editrice di proprietà di Francesco Polacchi, uno che si proclama convintamente fascista. La presenza (poi scongiurata) di AltaForte aveva scatenato le reazioni di molti intellettuali, scrittori, editori e lettori. Alcuni avevano scelto di annullare la propria partecipazione, come Zerocalcare, Carlo Ginzburg, Tomaso Montanari, il collettivo Wu Ming, Salvatore Settis, la presidente dell’Anpi, Carla Nespolo, solo per citarne alcuni. Qualcun altro, come Christian Raimo, che è anche consulente del Salone, ha polemizzato duramente dimettendosi dall’incarico.

Altri ancora, invece, con in testa Michela Murgia, avevano da subito scelto di partecipare ugualmente per contrapporsi alla presenza dei neofascisti dentro il Salone. In mezzo, il presidente della Regione, Sergio Chiamparino, il quale prima ha parlato di libertà di espressione, criticando chi chiedeva l’estromissione della AltaForte dal Salone, poi però, forse dopo aver sentito le gravi e farneticanti parole del discusso editore, insieme alla sindaca Appendino ha scelto di denunciarlo per apologia di fascismo. Insomma, un caos. Risolto alla fine con l’esclusione della AltaForte.

In tutto questo dibattito, si sono sviluppate posizioni differenti. Da un lato c’è stato chi si è appellato alla democrazia e alla libera manifestazione del pensiero, affermando che non bisogna impedire a nessuno di partecipare e poter esprimere la propria opinione. Dall’altro, c’è chi invece ha sostenuto che non ci possa essere spazio per chi esalta il fascismo quotidianamente, pubblicando non solo libri discutibili ma anche giornali online imbarazzanti.

Muovendoci tra le ragioni di ciascuna posizione, cerchiamo allora di fare qualche considerazione sulla vicenda. Andare o non andare a un Salone o in qualsiasi altra manifestazione nella quale vi sono dei fascisti è una scelta personale. Sensata in ogni caso. Non andare è un gesto forte, dal significato chiaro. Un atto di protesta ufficiale, il rifiuto di condividere uno spazio democratico e culturale con chi la democrazia la rifiuta ogni giorno e parteggia per movimenti estremisti protagonisti di atti di violenza e discriminazione che ne dovrebbero, da soli, giustificare lo scioglimento coatto.

CasaPound è una formazione politica fascista che inneggia all’odio e al razzismo, un movimento patologicamente maschilista e omofobo. E soprattutto profondamente vigliacco e ipocrita. Come dimostrano gli assalti contro i rom e i migranti, le incursioni notturne per appendere striscioni o vandalizzare monumenti alla memoria antifascista. CasaPound è il partito che ha cresciuto due militanti oggi accusati di avere stuprato una ragazza dopo averla fatta bere e picchiata. Militanti espulsi da un movimento che prima ha affermato di voler punire gli stupratori ma che pochi giorni dopo, a Casal Bruciato, per bocca di un altro militante, ha offeso una mamma italiana di origine rom, assegnataria legittima di casa popolare, minacciando di stuprarla qualora non fosse andata via insieme alla sua bambina. Non andare al Salone allora è una scelta più che legittima, da questo punto di vista. E non c’entra la libertà di espressione, perché il fascismo non è un’opinione, ma un reato che non ha nulla a che vedere con il libero pensiero.

Altrettanto legittima però sembra anche la scelta di andare ugualmente e di sfidare i fascisti, non lasciargli spazio, mettersi davanti a loro, con le parole e con il corpo. Con i libri. Con la forza di altri libri, quelli che, nella storia, i fascisti hanno sempre disprezzato, strappato, bruciato. Pertanto hanno ragione anche Michela Murgia e Roberto Saviano quando sostengono che non bisogna disertare. Forse perché significa conquistare lo spazio della democrazia, farli sentire braccati, sfidarli sul terreno della letteratura, un terreno nel quale i fascisti sono debolissimi, come lo sono anche nei numeri e nel consenso, nonostante qualche ministro e qualche parlamentare nostalgica stiano cercando di dar loro risalto e appoggio.

Insomma andare è un atto di fiducia nella democrazia. Come a sottolineare che la democrazia sia ancora più forte dei fascisti, della loro violenza verbale e delle loro aggressioni vigliacche. Significa ribadire che politicamente questa teppaglia politica rimarrà sempre relegata nei bassifondi della storia, tra folklore macabro e ignoranza opaca. Non bisogna sottovalutarli, è chiaro, ma nemmeno pensare che possano avere qualche forma di futuro. La democrazia è più forte, dunque. E forse è vero. Ma è altrettanto vero che lo sarebbe molto di più se sciogliesse i movimenti che si richiamano a fascismo e nazismo. La democrazia sarebbe più forte, se facesse rispettare la legge e smettesse di garantire impunità a chi non si limita ad esporre pseudoidee ma sceglie invece di assediare palazzi e quartieri, aggredire persone innocenti, attuare discriminazioni insopportabili, diffondere bugie e odio, inneggiare al fascismo, rinnegare la Costituzione e occupare abusivamente palazzi pubblici.

Forse se l’antifascismo delle istituzioni fosse chiaro e manifesto, sarebbe molto più facile gestire situazioni simili. Situazioni che non potrebbero mai più diventare dei casi politici. Soprattutto se, prima di appellarsi alla libertà di pensiero, gli organizzatori del Salone, la prossima volta agissero bene sin dall’inizio, riflettendo a fondo sulla opportunità di far partecipare una editrice che appartiene a un uomo che pubblicamente si definisce fascista e offende l’antifascismo e la sua storia, su cui si basano la nostra carta Costituzionale e la nostra stessa democrazia. Quella stessa democrazia che consente loro di parlare ed esistere, malgrado tutto.

Massimiliano Perna – ilmegafono.org