Due giorni dopo l’attacco di Hamas del 7 ottobre 2023, il ministro della Difesa di Israele, Yoav Gallant, annuncia l’assedio di Gaza con queste parole: “Niente elettricità, niente cibo, niente benzina, niente acqua. Tutto chiuso. Combattiamo contro degli animali umani e agiremo di conseguenza”. Yoav Gallant, già segretario militare di Ariel Sharon e promosso capo del Comando meridionale nel 2005, è stato la mente e il comandante dell’operazione “Piombo Fuso” nella Striscia di Gaza, l’inferno, durato 22 giorni, fra il dicembre 2008 e il gennaio 2009. Sono passati più di cento giorni dal 7 ottobre 2023, cento giorni che macchiano di sangue e dolore un mondo già sporco di suo. Gaza praticamente non esiste più, cancellata in cento giorni. Restano la polvere e le macerie, restano i numeri freddi e spaventosi che aggiornano il conteggio dei morti: diecimila, ventimila, venticinquemila.

Numeri che cancellano e azzerano intere generazioni. Generazioni che da oltre settantacinque anni conoscono tutto il male della vita senza averla mai assaporata, sempre in fuga da tutto e senza nessuna prospettiva. Qualcuno pensa che tutto sia cominciato il 7 ottobre 2023 con l’orrendo massacro di Hamas, invece quel 7 ottobre è stato solo l’inizio della fine. Una fine che arriva da lontano, la sua genesi ha un nome che la storia non può dimenticare: si chiama Nakba. È la “catastrofe,” parallela alla nascita dello Stato di Israele nel 1948. Nakba è diventata la parola che lo Stato di Israele, insieme a gran parte del mondo, vuole che sia dimenticata e cancellata, spenta. Questi cento giorni sono un’altra Nakba, feroce e calcolata. Certo, c’è stato il 7 ottobre e sullo scempio atroce compiuto quel giorno da Hamas emergono domande che si fanno sempre più insistenti con il passare del tempo. Sembra incredibile che i servizi segreti più potenti e celebrati dell’intero Medio Oriente si siano lasciati sorprendere da un attacco pianificato e così complesso, capace di eludere uno dei confini più militarizzati e sorvegliati al mondo.

Eppure è successo, e stranamente è successo proprio nel momento in cui il governo di Israele e il suo primo ministro Benjamin Netanyahu, che ha costruito tutta la sua storia e l’intera carriera politica sulle sue promesse di garantire sicurezza degli israeliani, erano pesantemente disapprovati in terra d’Israele. La coalizione di governo che sostiene Benjamin Netanyahu è senza dubbio la più a destra nell’intera storia dello Stato di Israele. Ha permesso ogni tipo di insediamento illegale in Cisgiordania, ha esasperato ai massimi livelli quel regime di apartheid e di segregazione etnica che già esisteva, ha violato tutto quello che era possibile violare in termini di diritti civili. Quante sono le violazioni delle Risoluzioni ONU dal 1973 ad oggi? In questi anni le diplomazie occidentali non hanno mai preso una posizione decisa nel contrastare le violenze della destra religiosa israeliana, non c’è mai stata alcuna reazione e alcuna conseguenza a tutte le violazioni del diritto internazionale commesse da Israele.

Tutto questo spiega in gran parte come il popolo di Gaza sia stato di fatto abbandonato a se stesso e consegnato nelle mani di Hamas, ma non basta. Ancora oggi i paesi occidentali, quasi all’unanimità, hanno condannato l’attacco di Hamas sostenendo il diritto di Israele a difendersi, hanno chiesto un semplice e scontato “cessate il fuoco”, ma non hanno mai menzionato l’escalation di inaccettabile violenza dello Stato di Israele e dei coloni israeliani sulla Striscia di Gaza e sulla Cisgiordania occupata. C’è una domanda a cui è difficile dare una risposta: a chi conviene questa guerra e il suo allargamento? Intanto conviene a Benjamin Netanyahu: più questa guerra dura nel tempo più lungo sarà il suo regno. Poi c’è Hamas: difficile, se non impossibile, credere che i suoi capi non abbiano considerato che Netanyahu avrebbe colto al volo l’occasione per cancellare Gaza. Hamas sapeva benissimo che questa guerra, di fatto, doveva ribadire che senza un accordo con lui nessuna pace è possibile.

Poi, intorno a questo, c’è tutto il torbido mondo della geopolitica che coinvolge la comunità internazionale: l’Europa, gli USA, la Russia e quel labirinto impenetrabile rappresentato dal mondo arabo e mediorientale. L’Arabia Saudita che preme su Israele per un cessate il fuoco, il Libano, l’Iran e il Qatar che ribadiscono la loro vicinanza alla causa palestinese. Qualcuno crede davvero che l’Iran degli ayatollah e il Qatar degli Emiri possano essere sinceri amici dei Gazawi? Israele promette che la guerra sarà lunga, e questa promessa porta ad una escalation invitabile: gli ultimi giorni ci raccontano delle azioni degli sciiti huthi nel Mar Rosso e degli attacchi occidentali nello Yemen. In tutto questo mare di letame e di umana miseria c’è un solo, vero, sconfitto: il popolo di Palestina. Sulla sua pelle si consuma l’ennesima tragedia e Gaza diventa la fossa comune dove seppellire senza pietà tutti i diritti e la cultura di un popolo fiero. Gaza e la Cisgiordania sono un atto d’accusa gridato in faccia al mondo e il mondo ne è responsabile. Sono quel pezzo di terra che ieri è stato rinchiuso fra i muri che il mondo ha costruito intorno a loro e che oggi viene spazzato via dal ventre della vita, cancellando ogni profumo del mare, degli ulivi e della libertà.

Il 29 dicembre 2023, il Sudafrica ha presentato alla Corte internazionale di Giustizia la sua denuncia contro Israele per “genocidio”, in violazione della Convenzione del 1948: “Gli atti e le omissioni di Israele – si legge nel comunicato – hanno natura genocida, perché commessi nell’intento specifico di distruggere i palestinesi di Gaza come parte del più ampio gruppo nazionale, etnico e razziale palestinese”. Israele risponde a questa accusa sostenendo che il governo di Pretoria “collabora con un gruppo terroristico che fa appello alla distruzione di Israele”. Agnés Callamard, segretaria generale di Amnesty International, ha ribadito che “il rischio che Gaza si sarebbe trasformata dalla più grande prigione a cielo aperto in un gigantesco cimitero si è rovinosamente materializzato davanti ai nostri occhi. Mentre gli USA continuano a usare il potere di veto per impedire al Consiglio di sicurezza di chiedere un cessate il fuoco, proseguono i crimini di guerra e i crimini contro l’umanità e il rischio di genocidio è concreto”.

Intanto, in terra di Israele la vita è difficile per gli uomini di Pace. Meir Baruchin è un insegnante israeliano di Storia ed educazione civica.
L’8 ottobre 2023, il giorno dopo l’orribile attacco ad opera di Hamas, scriveva queste righe: “Immagini terribili stanno filtrando da Gaza. Intere famiglie sono state spazzate via. Di solito non scarico immagini di questo tipo, ma guardate che cosa stiamo facendo per vendicarci. Chiedo a tutti di fare il possibile per fermare questa follia. Fermiamola ora. Non più tardi, adesso”. Dopo quel post sulla sua pagina Facebook, Baruchin è stato licenziato dalla scuola in cui insegnava e arrestato. L’accusa nei suoi confronti è di tradimento. Ilan Pappé, è uno storico e studioso ebreo e anti-sionista, Professore di Storia dell’Università di Exeter, in Inghilterra, considerata una delle Università più prestigiose del mondo, fondatore dell’Istituto per la Pace a Givat Haviva, in Israele. Da anni è la voce critica e autorevole nei confronti della narrazione dello Stato di Israele sulla questione palestinese. In una intervista (che è possibile guardare e ascoltare cliccando qui) rilasciata il 23 dicembre 2023, ci sono tutta la lucidità e la conoscenza che fanno paura a Benjamin Netanyahu e alla destra israeliana.

100 giorni e l’inferno è tornato per finire il lavoro cominciato nell’inverno del 2009 con l’operazione “Piombo Fuso”, con lo stesso generale di allora: Yoav Gallant. Oggi, inverno 2024, Gaza non esiste più. Anche il “Paradiso” non esiste, e i bambini di Gaza lo sanno da sempre, da intere generazioni. Forse la Corte internazionale di Giustizia troverà il coraggio di far sentire la sua voce su questo inferno. Un giorno, sicuramente, lo farà la Storia. Ma sarà troppo tardi.

Maurizio Anelli -ilmegafono.org