Ci sono anniversari che non dovrebbero arrivare mai, date che non si celebrano ma che, al contempo, non possono essere ignorate per il forte carico di tristezza e di mistero che le accompagna. In questa settimana si è tenuto il quindicennale della morte di Attilio Manca, un giovane e promettente urologo originario di Barcellona Pozzo di Gotto (ne abbiamo parlato tante volte in passato su queste pagine, vedi 1, 2, 345 e 6). Il 12 febbraio del 2004, infatti, il cadavere di Attilio fu rinvenuto nella propria abitazione di Viterbo, dove il medico si era trasferito per esigenze lavorative. La versione ufficiale delle indagini, in seguito all’autopsia sul cadavere, fu di morte per inoculazione volontaria di stupefacenti.

Attilio Manca si sarebbe procurato la morte volontariamente, assumendo un cocktail fatale di eroina, alcolici e barbiturici. Da subito, la famiglia Manca ha però rigettato l’ipotesi del suicidio. Attilio era sereno, realizzato professionalmente, non avrebbe avuto alcun motivo per prendere una decisione del genere. Le stranezze sulla morte dell’urologo, in effetti, non sono poche. A partire da una chiamata che lo stesso avrebbe fatto alla madre la mattina dell’11 febbraio (telefonata che non risulta da alcun tabulato), durante la quale, senza alcuna ragione, egli fece domande sullo stato della sua moto a Tonnarella. Una chiamata incomprensibile che, secondo la famiglia, avrebbe potuto essere un messaggio in codice per i genitori. Per non parlare poi dei numerosi dettagli concernenti il rinvenimento del suo cadavere.

Attilio, mancino, si sarebbe iniettato una dose di eroina nel braccio sinistro, con una siringa ritrovata senza alcuna impronta digitale e con il salva-ago inserito. Il giovane, inoltre, fu rinvenuto con il volto visibilmente tumefatto, sporco di sangue e con i testicoli molto gonfi come fossero stati esposti, ante morte, ad un forte trauma. La tesi che la famiglia da anni ormai porta avanti, nel tentativo di riabilitarne il nome, è che Attilio Manca sia stato l’urologo che ha operato Bernardo Provenzano a Marsiglia (i movimenti di Attilio di quel periodo includono un suo viaggio di lavoro a Marsiglia) e che questo ne abbia poi causato la morte.

Manca, insomma, sarebbe stato ucciso perché sapeva troppo. Una versione che sembrerebbe trovare conferma nelle dichiarazioni rese da 5 collaboratori di giustizia, ma che fa storcere il naso a non pochi addetti ai lavori. Tra questi, ad assumere una forte posizione critica verso la “teoria complottista” è stato l’ex procuratore Armando Spataro che, anche recentemente, si è detto contrariato da questa scarsa fiducia nel lavoro dei magistrati e degli inquirenti. Egli ha dichiarato, con toni piuttosto duri, che i giudici si sono espressi bene sul caso Manca, attenendosi alle prove in loro possesso.

Posizione legittima, ma il punto di fondo in questa vicenda non è la buona fede dei magistrati, che non è in alcun modo messa in discussione, così come non si discute il loro doversi attenere alle prove nell’emettere un giudizio. Il problema è che, a distanza di 15 anni, le anomalie sul caso permangono e troppi dettagli sembrano stridere con la versione ufficiale. E questo è innegabile. “Prove”  è la parola chiave individuata dal procuratore Spataro e forse, proprio in questa ottica di reperimento di maggiori prove, andrebbe seriamente presa in considerazione la richiesta della famiglia Manca di riesumare il cadavere di Attilio per sottoporlo ad una nuova perizia autoptica; richiesta in favore della quale è stata recentemente attivata anche una petizione on line.

“Le ultime opportunità scientifiche e tecnologiche – ha spiegato Antonio Ingroia, legale della famiglia Manca – permettono, anche a distanza di anni, di far diventare un cadavere principale fonte di prova. La salma di Attilio Manca potrebbe dire se era davvero un tossicodipendente e dare la data approssimativa d’assunzione dell’ultima sostanza. E gli accertamenti sullo scheletro possono permettere di verificare eventuali traumi, colpi o lesioni subite”.

“Sono trascorsi 15 anni da quel lontano 2004 – ci ha detto Angela Manca madre di Attilio, da noi contattata telefonicamente – giorno in cui mi hanno privato per sempre di un figlio. Ho lottato con tutte le forze per avere verità e giustizia, ho lottato perché venisse istituito un giusto processo”.  “A luglio dello scorso anno – prosegue la signora Manca – la Procura di Roma ha messo il sigillo sulla morte di Attilio, senza tener conto delle dichiarazioni di ben 5 pentiti, senza provare imbarazzo nel guardare la foto di mio figlio col volto devastato, crocifisso sul suo letto, non tenendo conto del mancinismo di mio figlio”. Infine, una speranza di giustizia e una certezza di verità: “Sono molto addolorata – conclude Angela – per quanto accaduto, ma mai rassegnata. La verità è una sola e, nonostante tutti i depistaggi e gli insabbiamenti, verrà fuori. È questione di tempo”.

Un’esigenza di verità più che condivisibile. Dopo 15 anni non ci può essere ancora spazio per i dubbi, è necessario risolvere gli enigmi così da individuare una versione dei fatti convincente, scevra da ogni anomalia o sospetto. Una versione dei fatti che fornisca una sola verità che, essendo inattaccabile, soddisfi tutti e cancelli lo scetticismo.

Anna Serrapelle- ilmegafono.org