Uno Stato incapace di verità è uno Stato incapace di giustizia. Uno Stato che quella verità non prova nemmeno ad ascoltarla e addirittura la nasconde, è uno Stato nel quale non esiste nemmeno la speranza di una giustizia. Quest’ultima sensazione pervade molti italiani, sempre meno fiduciosi nella giustizia, soprattutto quando dalla parte degli imputati o dei sospettati c’è chi appartiene a sistemi di potere. L’impunità diffusa è la più grande falla di un sistema che sembra accanirsi con chi non ha una posizione di influenza, mentre si mostra indulgente e morbido con chi quella influenza la esercita quotidianamente. La sfiducia nella giustizia, poi, per alcuni è un dolore concreto che si appiccica alla pelle, scorre drammaticamente nella vita di tutti i giorni, si deposita dentro attese che durano anni, senza che vi sia un bagliore, animate solo dalla speranza che qualcosa possa cambiare il corso di una vicenda tragicamente e doppiamente ingiusta.

Un dolore che la famiglia di Tony Drago, militare in servizio presso la caserma “Sabatini” di Roma, nel prestigioso reggimento dei Lancieri di Montebello, conosce bene. La vicenda di Tony è nota, è finita nelle cronache nazionali e su queste pagine ne abbiamo parlato tante volte, raccontando i capitoli e le svolte processuali fino all’inaccettabile archiviazione del marzo 2019, quasi 5 anni dopo quel maledetto 6 luglio 2014, giorno in cui venne trovato morto nel cortile della caserma. Un omicidio, come hanno dimostrato le perizie e l’inchiesta, nonostante i tentativi di depistaggio, le affrettate e insolite conclusioni della dottoressa del 118 (“decesso per precipitazione”) e dell’esercito (che già poche ore dopo parlava di suicidio), nonostante le indagini superficiali e la lacunosa relazione del medico legale dopo l’autopsia. Tony è stato ucciso ma non è più possibile, in mancanza di nuovi elementi di indagine, diradare quelle che la Gip del tribunale di Roma, Angela Gerardi, definisce le permanenti “zone d’ombra non investigate e, oramai, di difficile accertamento, stante il tempo trascorso dai fatti”.

Era successo anche con Emanuele Scieri, con l’archiviazione che certificava l’omicidio, ma che di fatto ammetteva l’impossibilità di arrivare all’identificazione dei colpevoli. Ci sono voluti anni e una battaglia che ha portato alla nascita della commissione parlamentare d’inchiesta per riaprire un processo che, finalmente, ha portato alla condanna in primo grado dei due assassini: 26 anni di reclusione per Alessandro Panella e 18 anni per Luigi Zabara, ex caporali della Folgore. Per Tony tutto questo non è stato possibile, l’archiviazione, dovuta essenzialmente alle indagini, diciamo “difettose”, condotte nell’immediatezza della sua morte e alla indisponibilità di tutti quegli strumenti che avrebbero potuto far chiarezza (telecamere, tabulati, il computer del ragazzo), ha chiuso al momento ogni percorso di ricerca di una verità giudiziaria.

La famiglia di Tony Drago ha lottato, ha chiesto giustizia, ha sottolineato, insieme ai legali e ai periti, tutte le stranezze, tutti i punti oscuri: la mail di Tony violata il giorno della sua morte, l’aggressione che il ragazzo aveva subito da alcuni commilitoni poco tempo prima, il suo computer completamente ripulito e restituito molto tempo dopo alla famiglia, le profonde ferite da corpo contundente sul cranio, i segni di trascinamento, la posizione innaturale del corpo e troppo lontana (per le caratteristiche e le possibilità fisiche di un essere umano) dalla finestra dalla quale si sarebbe lanciato. Drago aveva scoperto qualcosa, voleva denunciare qualcosa, coerentemente con quel senso di giustizia che lo aveva portato a entrare nell’esercito in attesa di provare il concorso in polizia. Un concorso non superato per pochissimi punti e che lo ha convinto a firmare ancora, proprio perché voleva riprovarci. Tony Drago è rimasto solo e solo è stato lasciato dallo Stato, da quell’esercito che lo ha riconsegnato senza vita ai suoi genitori, ai familiari, agli amici di sempre.

Ucciso alla stessa età in cui, un altro siracusano, Emanuele Scieri, nel 1999, all’epoca della leva obbligatoria, era stato assassinato alla caserma “Gamerra” di Pisa, sede del reggimento della Folgore. Due corpi militari importanti, la Folgore e i Lancieri di Montebello, due corpi che lo Stato non ha voluto sacrificare in nome della verità. Uno Stato che, come sentiamo ogni giorno dalle bocche di chi governa, coccola i militari, a pacchetto completo, senza distinzioni, senza il coraggio di intervenire per ripulire logiche pericolose che, ancora oggi, attraversano le caserme e i reggimenti. Un presidio di mentalità ancestrali dentro una società che va avanti, un presidio nel quale i figli del popolo spesso soccombono. E quando accade nessuno, dentro le stanze militari, si preoccupa di prendere provvedimenti e denunciare o mettersi a disposizione delle autorità. Il buon nome del corpo o dell’intero esercito, nelle capocce rigide dei generali, vale più dell’obbligo etico della verità.

Eppure, l’omertà, i depistaggi, i silenzi costruiti, le pressioni non servono. Perché c’è chi ha memoria e continua a lottare. Magari non riuscirà ad ottenerla questa giustizia, ma di sicuro dal 1999, quando Emanuele Scieri fu ucciso, sono molti meno quelli che guardano la Folgore con rispetto e ammirazione, anche se va detto che già prima di quella data tale reparto era rimasto coinvolto in vicende molto inquietanti (vedi missione in Somalia). Ma per Emanuele c’è stato un clamore costante, la luce sulla sua ingiusta morte non si è mai del tutto spenta. Per Tony tutto questo invece sta accadendo. Siamo fermi agli ultimi mesi del 2021, quando la CEDU (Corte Europea per i Diritti Umani) ha preso in carico il ricorso presentato dalla famiglia e ha chiesto al governo italiano chiarimenti sul percorso di accertamento della verità sulla morte di Tony Drago. Dopodiché, non si è più avuta alcuna notizia, anche se c’è la consapevolezza che i tempi di questo percorso sono molto lunghi.

In questi giorni, durante un’intervista rilasciata al nostro Megafono (ascolta qui il podcast), Valentina Drago, sorella di Tony, ci ha contattato per lanciare un appello a chi sa e non parla. Non solo i responsabili della morte del fratello ma anche testimoni e chiunque abbia visto, sentito o saputo e sia stato costretto a tacere da chi aveva deciso che quella caserma e quel reggimento, quello dei picchetti d’onore ai capi di Stato stranieri, non venissero macchiati proprio in quell’onore che tanto propinano.

Ma quale onore c’è nell’omertà e nella miseria della codardia? Quanto onore c’è nell’usare Tony, vittima di omicidio, per una narrazione falsa sulla debolezza di un suicida? Nessuno. L’onore, d’altra parte, è la materia umana che più di tutte, nella storia, è stata soggetta ad alterazioni, manipolazioni e funeste rivisitazioni. Solo la memoria, solo continuare a parlare di Tony Drago e della sua morte assurda può alimentare la speranza che in qualcuno dei colpevoli o dei “consapevoli” si affacci un barlume di dignità e di coraggio, di liberazione da quello che, per alcuni assassini, ogni tanto diventa un mostro con il quale è pesante convivere. È solo una speranza, anche abbastanza debole, ma è già tanto nel Paese che la speranza di giustizia prova a cancellarla ogni giorno.

Massimiliano Perna -ilmegafono.org