Tempo d’aprile, tempo di 25 aprile. Appare del tutto evidente l’odio dell’intera destra italiana di fronte alla parola “antifascismo”. I tentativi di Giorgia Meloni di mostrare, di se stessa e del suo partito, un volto affidabile e democratico naufragano di fronte alla realtà dei fatti e di un governo che si regge sul sostegno di quell’area reazionaria e fascista che in Italia esiste ancora e mostra il suo ghigno. Un’area che si compatta attorno al rifiuto di riconoscere il valore del 25 aprile come pietra miliare della Repubblica. Non è una novità, l’antifascismo non è un sentimento condiviso da tutti gli italiani, non lo è mai stato: nel ventennio del regime fascista, e anche durante la guerra di Resistenza stessa, una parte considerevole del popolo italiano è rimasta a guardare, indifferente quando non ostile, di fronte ad ogni atto di Resistenza al fascismo. Oggi l’aspetto più grave e destabilizzante è che questo ardore nostalgico occupa i massimi vertici delle istituzioni e dello Stato.

In tanti hanno dimenticato il significato e la genesi del 25 aprile: un’insurrezione di popolo, una corsa verso la libertà e verso la liberazione dal nazifascismo, il primo mattone di una fabbrica che voleva progettare e costruire una democrazia giusta e uguale per tutti. Il 25 aprile è stato questo, come una medicina capace di guarire una lunga malattia. È stato riscoprire un bene comune che il ventennio fascista aveva disperso, il sogno di un domani da costruire e sul quale scommettere la vita. Qualcosa di quel progetto è stato costruito, ma l’Italia non è mai guarita veramente e il fascismo non se n’è mai andato davvero da questo Paese. L’Italia non ha fatto davvero i conti con il suo passato, piuttosto ha protetto e tutelato molti dei responsabili di quel ventennio tragico, offrendo loro altre opportunità. E loro hanno tessuto la tela di ragno, hanno fondato e rifondato partiti e movimenti di chiara matrice fascista, hanno avuto quell’agibilità politica che la storia avrebbe dovuto negare e, infine, hanno cresciuto nuove generazioni alla loro scuola di pensiero. Hanno seminato, e adesso è il tempo del raccolto.

È riduttivo parlare dell’attuale governo come di un governo di destra, questo governo è qualcosa che va ancora oltre. L’Italia ha già conosciuto, anche nel recente passato, governi di destra e centro-destra, ma mai come oggi è vicino il rischio di un punto di rottura in grado di riportare indietro l’orologio della storia. Nell’attuale esecutivo, ogni mossa è calcolata, non esiste nulla di casuale: dal premierato al tentativo di sovvertire la Costituzione; dall’attacco alla magistratura ai decreti sui migranti e contro le Ong; dall’occupazione di ogni settore della cultura al controllo egemonico dell’informazione; dalla repressione del dissenso nelle piazze alla copertura sistematica di ogni violenza delle forze dell’ordine; dai rapporti sempre più intensi con tutta la destra estrema europea alla gestione del caso di Ilaria Salis; fino alla difesa e al silenzio assoluto nei confronti di ministri indagati e/o sotto processo. Prende sempre più corpo la deriva autoritaria di una coalizione di governo dove il disprezzo del Parlamento e della Costituzione sono l’elemento cardine della legislatura.

A tutto questo si aggiungono le iniziative e le dichiarazioni di ministri e cariche istituzionali che con arroganza provano a riscrivere la storia del Novecento. Dal presidente del Senato che descrive la strage delle Fosse Ardeatine con i suoi parametri, alle dichiarazioni del ministro Lollobrigida, che dichiara senza pudore che “La parola antifascista, purtroppo, ha portato in tanti anni a morti”. C’è una destra che non ha mai nascosto le sue radici, anzi le rivendica in ogni occasione. Una destra che è sempre più allineata con la destra xenofoba e fascista che in Europa conquista spazi e consensi sempre più importanti. In quell’orizzonte nero, Giorgia Meloni gioca le sue carte mandando avanti i suoi pedoni, ministri senza scrupoli o generali razzisti non fa differenza, tenendo per se stessa due profili, come dottor Jekyll e Mister Hyde: da una parte la presidente del Consiglio, che vuole accreditarsi come affidabile e democratica, dall’altra la leader indiscussa di un partito fascista come Fratelli d’Italia. Il fascismo si presenta e si instaura anche così, un giorno alla volta.

Difficile parlare di antifascismo sulla TV di Stato, anche per gli intellettuali. “La Rai ridotta a megafono del governo”: in questi termini il sindacato dei giornalisti Rai esprimeva la sua protesta per gli ultimi provvedimenti del governo sulla presenza dei politici in RAI. A pochi giorni di distanza, arriva la censura dello scrittore Antonio Scurati e sul suo monologo dedicato al 25 aprile e incentrato sull’assassinio di Giacomo Matteotti, sulle stragi nazi-fasciste del ‘44 – Fosse ardeatine, Marzabotto e Sant’Anna di Stazzema – e, infine, sull’eredità e le responsabilità politiche del partito di cui la presidente del Consiglio è la massima esponente. Il testo del monologo è stato comunque letto dalla giornalista Serena Bortone, in aperta sfida alla RAI, ed è stato pubblicato su tutti i social media.

Quello di quest’anno sarà un 25 aprile segnato dallo spaccato profondo determinato dalle guerre in Medioriente e in Ucraina. La manifestazione nazionale si terrà in una Milano dove la tensione è altissima e su questa tensione pesa come un macigno la posizione della Brigata ebraica, che contesta e rifiuta lo slogan scelto dall’ANPI: “Viva la Repubblica antifascista – Cessate il fuoco ovunque”. Perché non piace questo slogan alla comunità ebraica? Il presidente della comunità, Walker Meghnagi, chiede ad ANPI di rendere esplicita la richiesta della liberazione degli ostaggi israeliani in mano ad Hamas dal 7 ottobre, mentre il rappresentante della comunità ucraina milanese, Kateryna Sadilova, sostiene che lo slogan mette sullo stesso piano aggrediti e aggressori. La decisione di entrambe le comunità è allora quella di partecipare alla manifestazione e di sfilare uniti sotto uno striscione diverso il cui slogan sarà un altro: “Ora e sempre la democrazia si difende”.

Difficile accettare che qualcuno si arroghi il diritto di decidere quale debba essere lo slogan unico e giusto per una giornata come quella del 25 aprile che celebra la liberazione dall’occupazione nazifascista in Italia. Ridurre il 25 aprile a uno scontro su uno slogan nasconde altre motivazioni e altre intenzioni. Allo stesso tempo, mentre sfilerà il corteo antifascista, il ministro Matteo Salvini decide di presentare il suo libro nella città di Milano. È doveroso approfittare di questa occasione per ricordare, a tutti coloro che fingono di non sapere, che Matteo Salvini, vice-Presidente del Consiglio e ministro del governo, è ad oggi sotto processo per sequestro di persona.

Perché allora esserci il 25 aprile? Perché c’è un’Italia che resiste, ancora e nonostante tutto. Perché il 25 aprile è un ponte di memoria, e il fascismo di oggi tenta con tutte le sue forze di rimuovere proprio quella memoria e riscrivere un passato e una storia che tutti conoscono. Il 25 aprile non è solo una commemorazione, perché l’antifascismo non può limitarsi al ricordo. L’antifascismo è un’idea di vita e come tale deve essere capace di contestualizzare ogni momento e ogni aspetto della società, ogni aspetto della situazione politica e sociale. Quella medicina che nella lotta partigiana ha guarito una lunga malattia oggi è il vaccino necessario per impedire che la malattia torni ad infettare questo Paese.

Per qualcuno il 25 aprile un giorno divisivo. Sì, è divisivo, è un bivio che costringe a scegliere la strada su cui camminare: da una parte c’è una scelta di vita che non conosce confini e barriere, portando con sé quegli anticorpi che la storia ci ha consegnato. È una strada dove si può camminare sempre a testa alta, un passo dopo l’altro, un giorno alla volta. C’è sempre un prezzo da pagare per ogni antifascista, in ogni Paese e in ogni periodo della storia, ma è l’unica strada che può impedire un passato di ritorno. Dall’altra parte del bivio c’è invece la strada che rappresenta la negazione stessa dell’uomo: si chiama fascismo. Questo Paese lo ha già conosciuto e ha pagato un prezzo troppo alto per poterlo rivivere ancora una volta. E allora sì, Viva la Repubblica antifascista, ora e sempre!

Maurizio Anelli -ilmegafono.org