Se l’amore esiste, in alcune zone del Kurdistan non è libero. Come nelle società conservatrici del Kurdistan Iraniano e Iracheno. A squarciare questo velo di cui poco si parla è Diako Yazdani con un documentario intenso, commovente, realistico, crudo per la verità che porta in grembo. “Tutte le vite di Kojin” è la rivelazione che la libertà di amare è ben lontana. La storia racconta la vita di Kojin, amico di Diako, ragazzo gay di 23 anni originario del Kurdistan iraniano poi stabilitosi nel Kurdistan iracheno. L’esclusione di ogni forma di tolleranza verso tutte le forme di amore, l’impossibilità di liberarsi, di amarsi, di essere parte integrante e attiva di una comunità LGBT.

Da curdo, Diako, è il primo a mettere in discussione la visione di molti curdi sull’omosessualità e lo fa attraverso la vita vera e le reali difficoltà che Kojin è costretto ad affrontare. Il documentario mostra la verità dilaniante di quanto persino l’amore di una madre non basti ad accettare l’amore di un figlio verso una persona dello stesso sesso.

Kojin e Diako intervistano anche un Imam e mostrano quanto la disinformazione crei mostri in queste zone: “L’omosessualità è una malattia psicologica che può essere curata scacciando lo “jinn” (spirito malizioso) che abita il paziente. È quindi necessario schiaffeggiarti la schiena – dove lo “jinn” si nasconde tra gli omosessuali – e recitare il Corano per alcune ore per guarire. Un omosessuale cattura la sifilide, l’AIDS o persino l’Ebola”, dice l’Imam incontrato da loro. E conclude: “È necessario uccidere gli uomini che fanno resistenza a questo trattamento”.

Il tema LGBT in territorio curdo apre un vaso di Pandora non indifferente e sul quale ancora c’è fin troppo silenzio e tanta, troppa paura che Diako e Kojin hanno affrontato con grande coraggio. Questo documentario è anche il simbolo di una speranza nuova pronta a nascere, sopravvivere e vivere.

Rossella Assanti -ilmegafono.org