Qualche mese fa, poco prima delle ultime elezioni politiche, su queste pagine avevamo parlato dell’iniziativa di WikiMafia, denominata “Parlate di mafia”. Un’iniziativa di grande importanza che si basava su una lista di 10 proposte finalizzate al contrasto della criminalità organizzata, tra cui: la valorizzazione dei beni confiscati alle mafie; la difesa e il potenziamento dell’impianto legislativo antimafia; la questione morale, e così via. Allo scopo di rendere il tutto il più concreto possibile, tali proposte vennero inviate ai diversi esponenti politici nazionali, dando inoltre la possibilità (a chi lo volesse) di sottoscriverle attraverso un semplice form. A distanza di quattro mesi e a poche settimane dalle elezioni regionali, la questione è tornata a far discutere. O meglio: a scaldare la situazione ci hanno pensato le reazioni (o le “non reazioni”) di certi esponenti politici.

Qualche giorno fa, infatti, il candidato del PD alla presidenza della Regione Lombardia, Pierfrancesco Majorino, ha pubblicato un tweet con un’infografica di Wikimafia riportante la classifica aggiornata delle adesioni all’invito rivolto dall’associazione. Risultato? Ben 63 aderenti all’iniziativa fanno parte del centrosinistra, solo 11 sono del Terzo Polo (tra i quali non risulta il nome di Letizia Moratti), mentre sono appena 2 quelli del centrodestra (grande assente il presidente uscente Attilio Fontana). Al di là della gravità o meno della situazione, risulta evidente come una gran parte della classe politica lombarda abbia placidamente ignorato le richieste di WikiMafia. Alla luce degli ultimi avvenimenti relativi al contrasto alle mafie, con l’arresto del superlatitante Matteo Messina Denaro (leggi l’editoriale sul tema), la questione diventa ancora più importante di quanto non sia già. Parlare di mafia, impegnarsi, diventa importante e richiede continuità, attenzione costante, lavoro meticoloso.

Un lavoro che, senza l’appoggio serio della politica, rischia di restare fine a se stesso o comunque si indebolisce. Ecco perché la mancata risposta di tanti candidati consiglieri e di due dei principali candidati al governo di una Regione importante (per non dire centrale) come la Lombardia, nella quale peraltro la presenza delle mafie è tremendamente radicata a ogni livello, rappresenta un campanello d’allarme preoccupante. Campanello che, però, per  Carlo Calenda, leader del Terzo Polo, non avrebbe nemmeno senso di esistere. Proprio in seguito al tweet di Majorino, infatti, il capo di Azione ha risposto con un tono a dir poco sarcastico, alludendo al fatto che non basta non rispondere all’invito di un’associazione per poter essere definiti mafiosi.

Alla luce di quanto accaduto, le considerazioni da fare sono due. Innanzitutto, chi avrebbe mai detto che ignorare l’invito di un’associazione  assegni in maniera automatica l’etichetta di mafioso? Secondo: il periodo che precede le elezioni è sempre ricco di tensioni e questo fa un po’ parte del “gioco”. Da questo punto di vista, è evidente come Calenda abbia perso un tantino i nervi. Piuttosto che alimentare polemiche inutili e attaccare chi porta all’attenzione dell’opinione pubblica un fatto, una questione reale, avrebbe forse fatto meglio a supportare tale causa o evitare polemiche sterili. Quella di Majorino non era certo un’accusa di corruttibilità, di connivenza o addirittura di vera e propria alleanza con la mafia nei confronti di chi non ha risposto alla sollecitazione di WikiMafia. 

Piuttosto, si tratta di un modo per prendere coscienza di una situazione spiacevole, che si potrebbe risolvere in un batter d’occhio. Ancor di più se il “campo di battaglia” è quella Lombardia in cui, come detto, le infiltrazioni mafiose, fra tutte quella della ‘ndrangheta, minacciano e inquinando il sistema economico, politico e sociale. Ecco allora che, in una regione in cui la criminalità organizzata ha spostato ormai da tempo i propri affari principali e maggiormente redditizi, avere una classe politica che si mostri più attenta al tema e disponibile a parlare di mafia e di contrasto della criminalità non sarebbe affatto male. Anzi: sarebbe un bel segnale di innovazione e di presenza concreta. Un segnale che, siamo certi, non guasterebbe nemmeno a livello elettorale. Perché, in fondo, è forse proprio questo il passo più grande che la politica italiana dovrebbe imparare a fare: parlare di mafia e farlo in maniera propositiva, coraggiosa e attenta. E non trattarlo più, invece, come un argomento da cui rifuggire.

Giovanni Dato -ilmegafono.org