C’è una linea di confine attorno alla quale il potere confonde le carte sul tavolo e offusca le menti degli uomini. Davanti a quella linea occorre alzare lo sguardo e riuscire a immaginare e volere un Paese diverso da quello che ci viene proposto, prendere atto di quanto sia ingiusto e sbagliato il modello di società che abbiamo davanti, dove la democrazia è ad un passo dal punto di rottura. Alzare lo sguardo costa fatica, costringe a prendere atto del vuoto di credibilità in cui si muovono questo Sato e queste istituzioni, ma è indispensabile per provare a spostare almeno una parte di quell’equilibrio artificiale e pericoloso che si è impadronito del Paese. Non è la prima volta che ci troviamo ad un passo dal punto di rottura, la storia dell’Italia ha già conosciuto quella linea di confine e il ‘900 è ancora lì a ricordarcelo: dal ventennio fascista questo Paese è uscito a pezzi, ha provato a ricostruirsi e si è cullato per anni nell’idea di esserci riuscito, ma non ha mai voluto, o saputo, sconfiggere veramente le sue metastasi.

C’è sempre una mano a manovrare i fili di un teatrino che, di volta in volta, ha sempre sbarrato la strada ad una democrazia compiuta. Qualche concessione, l’illusione di un boom economico che sì, c’è stato e ha permesso di credere che un futuro migliore fosse possibile, ma che in realtà era costruito su fondamenta di argilla ed era sempre nelle mani di affaristi e faccendieri, politici corrotti, servizi deviati. Ad ogni passo in avanti, ad ogni conquista civile e sociale, ha sempre fatto seguito un passo indietro. Come un avvertimento a non chiedere oltre, a non cercare di più. È stato così per il mondo del lavoro e della vita civile, è stato così per la giustizia e per la legalità. La stagione delle stragi, inaugurata a Portella della Ginestra il 1º maggio 1947, è durata per decenni e in ogni strage la mano dello Stato era sul posto. L’elenco è lungo e lo conosciamo tutti, non serve ricordarlo ora.

Quello che serve, piuttosto, è individuare quei fattori comuni che da almeno cinquant’anni sono la costante: uno, sempre presente nella storia di questo Paese, è la mano destra della politica italiana, capace di presentarsi sempre con una maschera diversa. Dura e violenta, stragista come negli anni ‘70, qualche volta più o meno liberale, capace di corteggiare il mondo degli imprenditori, l’alta borghesia, i salotti bene delle città che contano e, anche, una parte non piccola del sottoproletariato. Oggi quella mano ha il volto di chi governa il Paese, in un patto viscido e pericoloso che unisce tutte le forze della destra.

Un altro fattore comune è la durezza con cui la mano dello Stato colpisce chi alza lo sguardo e indica una strada. Alzare la testa, e alzare lo sguardo, costa caro, qualche volta anche di più. Vale per i lavoratori e gli intellettuali, gli studenti e i movimenti giovanili. Vale per i giornalisti non allineati e per quei giudici che indagano nella direzione giusta e scoperchiano pentole che devono restare chiuse. C’è poi un ulteriore fattore comune che, ad ogni svolta autoritaria e in ogni momento difficile per la democrazia, lo Stato torna a sventolare come un mantra: il pericolo anarchico. È un mantra vecchio di secoli, che in Italia torna sempre utile quando serve a coprire quella parte non piccola delle istituzioni che negli ultimi sessant’anni ha rappresentato il primo e vero nemico dello Stato stesso. Ma ancora non basta e, oggi, anche altri soggetti vengono additati da questo Stato come il nemico pericoloso: le Ong, per esempio. Diventa davvero difficile credere, ma anche solo pensare, che i nemici dello Stato si annidino dentro le navi che salvano vite in mare. Eppure, oggi, i nomi che questo Stato addita come un nemico pericoloso si chiamano Medici Senza Frontiere, Emergency, Sea Watch, Open Arms, SOS Mediterranee.

Oggi, ma non solo da oggi, il governo italiano ha dichiarato una guerra aperta a queste organizzazioni e lo ha fatto con un calcolo cinico, ancora più vigliacco di quanto già non avesse fatto negli anni passati: obbligandoli ad un solo soccorso alla volta, consentendone l’approdo non nel porto più vicino, ma costringendo le navi umanitarie a percorsi lunghissimi, imponendo costi altissimi di carburante. Le vite che su quelle navi trovano una salvezza non contano nulla per il nostro governo, sordo e indifferente anche ai richiami internazionali (leggi qui e qui). C’è una linea di confine lungo la quale la democrazia prima si svuota e poi si perde. L’Italia corre su quella linea da tempo: lo fa stringendo e rinnovando accordi infami con Paesi come la Libia, l’Egitto, e altri ancora. Accordi basati su interessi economici, geopolitici e militari. In cambio si accettano il silenzio sui casi Giulio Regeni e Patrick Zaki; in cambio si lascia alle galere libiche il compito di bloccare i flussi migratori.

L’Italia corre su quella linea di confine restando in silenzio di fronte allo scempio umanitario che in tante parti del mondo è vita quotidiana. Su quella linea l’Italia umilia tanti articoli della nostra Costituzione, l’articolo 11 per esempio, quando non cerca nessuna strada diplomatica di fronte alla guerra in Ucraina ma sceglie comunque di fornire armi, perché anche questo serve per potersi sedere al tavolo dei grandi dell’Occidente. Dentro i confini di casa nostra, su quella linea di confine corrono le scelte compiute da questo governo sui tanti cerini accesi che possono diventare una polveriera: dalla riforma della Giustizia alla Sanità, dalla scuola alle scelte sull’autonomia differenziata delle regioni, tutte scelte che dividono e spaccano ancora di più il Paese. Infine, il tono e le dichiarazioni volgari e sprezzanti dei ministri di questo governo, dei parlamentari di questa destra e del Presidente del Senato che tradiscono, ad ogni parola e ad ogni intervento, una visione della società che ogni giorno compie un passo in più verso un autoritarismo che l’Europa già conosce, da Budapest a Varsavia.

Davvero è così difficile capire che la democrazia in Italia è a rischio? Davvero è invisibile l’attacco che questa destra porta alle libertà delle idee, della convivenza civile, del rispetto e della solidarietà? Davvero qualcuno dimentica che fra coloro che dicono di voler difendere uno Stato sotto attacco c’è anche un ex-ministro degli Interni, e ancora oggi al governo come vicepresidente del Consiglio e ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti, che è al momento sotto processo con l’accusa di sequestro di persona?

Lo scenario, interno e internazionale, impone a tutti la difesa di una democrazia, quella sì sotto attacco, lo impone anche a quell’opposizione parlamentare così timida e immobile, incapace di essere davvero opposizione che diventa punto di riferimento, ma che non può più permettersi il lusso del rimpianto e della nostalgia, perché il tempo sta per scadere e il tempo non aspetta nessuno. Gli anarchici, le Ong e i migranti. Davvero sono loro il pericolo e il nemico per questo Stato? Per molti le idee sono utopie, un po’ come le favole che ci piaceva ascoltare quando eravamo bambini prima di addormentarci, perché scacciavano le paure e ci facevano crescere. Oggi è il momento di tornare a credere alle utopie prima che qualcuno spenga davvero la luce. Il mondo non si cambia chiedendo il permesso, bisogna volerlo. Anche, e soprattutto, quando alzare lo sguardo costa fatica.

Maurizio Anelli -ilmegafono.org