Siamo all’ennesima puntata dell’infinita telenovela tutta italiana che racconta l’eterna lotta tra lo snellimento della burocrazia e il tentativo di limitare l’infiltrazione delle associazioni criminali nelle opere pubbliche. Parafrasando il principio del “seguire i soldi”, proposto con fortuna da giudice Falcone, è fondamentale prevenire che le mafie mettano le mani dove gira il denaro. Proprio per far fronte a questa esigenza, il nostro attuale codice degli appalti prevede una serie di regole stringenti. Questa necessaria rigidità è stata messa in discussione nell’ultimo periodo a causa dell’approvazione del Recovery Fund, grazie al quale sono in arrivo 209 miliardi dall’Europa. Si tratta di una cifra monstre che dovrebbe aiutare il Paese a rimettersi in piedi dopo questi mesi di grave crisi economica.

L’Italia avrà accesso a questa cifra in più tranche semestrali, ma c’è il rischio che queste vengano congelate nel caso in cui le varie somme non dovessero essere allocate in maniera efficiente o ci dovessero essere ritardi burocratici rispetto a quello che è il cronoprogramma concordato. Per questo motivo è nata l’esigenza di un decreto semplificazioni che snellisca il nostro apparato burocratico, in maniera da rendere più immediato l’utilizzo di questi soldi. Rispetto all’approvazione di tale decreto il nostro governo è in ritardo ed è per questo che il premier Draghi sta spingendo per stringere i tempi, ma la questione non può essere trattata senza la dovuta attenzione, perché la burocrazia, sebbene spesso sia fine a se stessa, si materializza anche in una serie di controlli che permettano di evitare il coinvolgimento di attori non proprio legali.

La bozza del decreto che gira in questi giorni contiene una serie di misure sacrosante come quelle che favoriscono la transizione digitale o snelliscono il settore delle telecomunicazioni, senza dimenticare il restyling dei centri storici delle principali città. Allo stesso tempo, però, i sindacati, e non solo, hanno espresso perplessità condivisibili circa la liberalizzazione del subappalto e l’introduzione di gare al ribasso che pure sembrerebbero essere oggetto della riforma. Il punto è che queste misure renderebbero questi soldi un’opportunità, oltre che per il Paese, anche per le associazioni mafiose.

Per quanto riguarda il subappalto, secondo il codice degli appalti il limite è fissato al 30% ed elevato al 40% fino alla fine del 2021. Ciò vuol dire che la società appaltante può subappaltare ad altre società per un valore massimo del 40%. Stando alle bozze che circolano, con la nuova riforma si rimuoverebbero i suddetti limiti e si permetterebbe una liberalizzazione totale del subappalto. Altro aspetto rilevante è quello dei pericoli derivanti dall’introduzione di gare d’appalto al massimo ribasso. Con questo sistema, spesso, a farne le spese sono la qualità del progetto, le retribuzioni dei lavoratori e la liceità delle pratiche. Sulla base di queste considerazioni si sta muovendo il dibattito in aula e fuori. Anche Libera, attraverso una nota, non ha usato mezzi termini per descrivere le intenzioni del governo sul codice degli appalti: “Illudersi di velocizzare le procedure per questa via – afferma l’associazione di Don Ciotti – è una strategia miope e rischiosa, che apre la strada ad una liberalizzazione di fatto potenzialmente criminogena delle gare d’appalto, un vero e proprio liberi tutti per mafie e corruzione”.

Va precisato che il decreto contiene una serie di misure assolutamente necessarie per permettere al Paese di ritrovare la propria efficienza, rispettando il cronoprogramma e dipanando i timori dell’Europa. È però fondamentale che questi provvedimenti vengano ridiscussi rispetto alle bozze attuali e che le norme per evitare l’infiltrazione criminale negli appalti restino stringenti, perché dopo questo periodo nero se c’è qualcosa che proprio non possiamo permetterci è mettere anche una piccola quota di questi soldi in mano alle mafie.

Vincenzo Verde -ilmegafono.org