È di poche settimane fa la notizia che il Comune di Napoli avrebbe messo nell’indirizzo del Piano della Cultura 2022-2026 la gestione di alcuni beni pubblici sotto una Fondazione per la Cultura. Ma cosa vuol dire? Tale soggetto avrebbe una gestione pubblico-privata basata sul modello della Fondazione Musei Civici di Venezia che, negli ultimi anni, ha attirato non poche critiche a causa del favoritismo sugli introiti turistici rispetto alla fruizione pubblica dei cittadini. In più ha chiuso i battenti durante la pandemia per mancanza di fondi e, anche quando avrebbe potuto riaprire, ha prorogato le chiusure e ha continuato a tenere in cassa integrazione i lavoratori, perché continuavano a mancare i turisti.

Il problema privatizzazione
Abbiamo già capito che trattare i Beni Culturali del nostro patrimonio storico come fossero dei luna park o delle mere attrazioni turistiche volte allo sbigliettamento, ahimè, non è una strategia vincente. La legge Rochney del 2006 ha dato il via alla privatizzazione dei servizi museali come accoglienza, biglietteria, guide, shop, trasporti, restauri, comunicazione, uffici stampa, insomma tutto ciò che non concerne (o quasi) la struttura del museo e la sua collezione. Questa legge inizialmente fu idolatrata e ritenuta un punto di svolta della crisi della gestione culturale, in quanto pubblico e privati avrebbero potuto lavorare in sinergia e sopperire così alle mancanze di fondi dello Stato. Dopo 12 anni, però, la situazione sembra più tragica rispetto alla partenza. Questa strategia di privatizzazione ha portato, infatti, ad una forte esternalizzazione dei lavoratori che vengono contrattualizzati a progetto, spesso costretti ad aprire la partita IVA, sottopagati, senza garanzie e senza continuità. Questa situazione affetta anche la fruizione dei beni poiché non si può mai contare su un personale stabile, che conosca a fondo la storia di quei luoghi e che possa lavorare al meglio per garantire una visita più esaustiva possibile.

Il caso Napoli
Castel dell’Ovo, Castel Nuovo, il Pan e Il Cimitero delle Fontanelle sarebbero alcuni dei luoghi, citati nel Piano della Cultura presentato lo scorso 14 marzo dal Comune di Napoli, che finirebbero in questo ormai arrugginito ingranaggio. Il sistema Fondazione tende sempre ad aumentare i prezzi degli ingressi, risparmiare sul costo dei lavoratori (spesso agganciandosi al volontariato) e tagliare fuori le offerte culturali per i cittadini del territorio in favore dei soli turisti. Questo porta ad un’estrema selettività del sistema e all’impossibilità di fruire di quei beni se non a pagamento, piegando la natura civica del patrimonio culturale alla logica dell’economia turistica, per sua natura fragile e veicolo di precarizzazione del lavoro.

La petizione
Per questo motivo l’associazione “Mi Riconosci? Sono un professionista dei Beni Culturali” ha deciso di lanciare una petizione (clicca qui) per aiutare il popolo napoletano a mantenere vivi i rapporti con il proprio patrimonio e la propria storia attraverso 4 punti ben strutturati con i  quali si chiede:

1. che Castel dell’Ovo e il Cimitero delle Fontanelle restino gratuiti e che il Pan e Castel Nuovo rimangano a gestione pubblica e aperti alla cittadinanza, senza alcuna maggiorazione di biglietti d’ingresso;
2. che nessuna nuova fondazione di partecipazione venga creata per gestire il patrimonio pubblico, né venga messa in atto alcuna altra forma di privatizzazione dei beni culturali del Comune;
3. che l’amministrazione comunale si impegni in una riflessione su come garantire l’interesse pubblico nella gestione dei luoghi della cultura e la dignità del lavoro culturale, senza sfociare nella turistificazione;
4. che si guardi al futuro con un approccio sistemico e integrato della gestione dei beni culturali, per favorire una maggiore chiarezza, agevolazioni per i pubblici e partecipazione da parte dei cittadini; e che si garantisca produzione e fruizione culturale sull’intero territorio cittadino.

Sarah Campisi -ilmegafono.org