Anzitutto un dato sociale: la Lega spaventa. Non è un dato politico, no. È sociale. La Lega è andata vicina al potere assoluto, anzi, ai “pieni poteri” coi quali Salvini tuonava dalla poltrona del Viminale, salvo poi scivolare sull’olio abbronzante usato per ungere il popolo in quel del Papeete, dimostrando quanto acerba sia ancora la sua vis politica. Sulla scorta di questo in moltissimi hanno avuto un sussulto vedendo in Conte, già prima dell’epopea del Coronavirus, il protagonista del celebre stralcio de “Le due città” di Dickens: “Vedo uno splendido popolo sollevarsi da questo abisso, vedo le vite per le quali sacrifico la mia, pacifiche, utili, prospere e felici”.

La paura, insomma, fa novanta. E questa è una delle chiavi di lettura che potremmo usare per leggere quel “La vecchiaia porta saggezza” pronunciato da Romano Prodi fra le parole che l’ex leader delle sinistre ha diffuso alla stampa in merito all’auspicato avvicinamento a Berlusconi. Insomma: ci riprendiamo pure il Cavaliere, ma teniamo fuori la Lega. È evidente, quindi, che qua la politica non c’entra quasi più. Solo che non possiamo non considerare di trovarci di fronte all’ennesima messa per Parigi propedeutica all’incoronazione, o all’ennesimo bivio drammatico di Dunkerque, cioè davanti a un cliché che rischia di ripetersi ancora a discapito delle masse, costrette all’aut-aut del bere o affogare, e di fronte a questo non possiamo non considerare, questa volta, di avere una terza via, di avere la possibilità di evitare ciò che va evitato.

Certo è difficile. Le parole di Prodi hanno dato una scarica di adrenalina non indifferente dalle parti di “Forza Italia”, dove hanno quasi rivisto il “nuovo miracolo italiano”, dopo il coup de théâtre degli avvocati del Cavaliere, abili nel diffondere un audio nel quale uno dei giudici della Cassazione che condannarono Berlusconi a 4 anni di carcere, nel 2013, si dice pentito, paragonando i colleghi che emisero con lui la sentenza a “un plotone d’esecuzione” mosso da motivazioni politiche. Poco importa se il magistrato, Amedeo Franco, non possa più parlare di ciò che ha detto in quella conversazione allora privata e oggi di dominio pubblico (è deceduto, il giudice Franco, lo scorso anno, e i legali di Arcore dicono di aver tenuto nascosto il nastro per rispetto). E poco importa se la vicenda non potrà essere chiarita come serve, visto che Franco firmò la sentenza senza dissociarsene, come avrebbe potuto.

Ancora meno importa se gli altri tre magistrati vengono accusati di aver agito politicamente da chi si è detto “ammiratore” del Cavaliere, perché da Tajani alla Gelmini adesso l’imperativo è uno e uno soltanto, senza possibilità di repliche, come nel miglior stile mediatico ereditato dal Cavaliere, e cioè “riabilitazione”. Lo vogliono senatore a vita, il buon vecchio Silvio, in risarcimento a quella che sarebbe stata una sentenza ingiusta, pilotata, da toghe rosse. E già che ci sono pensano pure di alzare la posta, con una proposta che ricorda tanto quella della quale gli italiani sentirono l’odore già all’apogeo del Divo Giulio: la Presidenza della Repubblica.

Ma c’è il dato storico, e il dato storico non lo possiamo ignorare. Per quanto Tajani e la Gelmini si sbraccino, invochino giustizia stracciandosi le vesti, urlino alla luna, il dato storico è lì, fermo. Ci è appena passato davanti agli occhi, in fondo, come una delle pellicole firmate dai Vanzina, e va per forza posto accanto a quello sociale, con buona pace di Prodi. Ci dice, senza possibilità di smentita, che in politica Berlusconi ha curato i suoi interessi, in barba al celeberrimo conflitto, visto che dal Decreto Biondi del 1994 alla legge su Veronica del 2011 ha fatto varare ben 39 norme che possono essere considerate ad personam (dal mazzo si possono pescare il Lodo Alfano o il Salva Milan, per rispolverare alcune delle clip che fecero più rumore); e ci dice pure che, sempre in politica, il suo braccio destro, Marcello Dell’Utri, è stato condannato a sette anni di reclusione per concorso esterno in associazione mafiosa.

E ancora ci dice, guardando al versante malavitoso, che durante il processo a Dell’Utri è venuto fuori un libro mastro della mafia che, tradotto dai pentiti, rivelerebbe i finanziamenti di Berlusconi alla mafia, mafia che torna più volte nella sua vita per vicende come quella del mafioso pluriomicida Vittorio Mangano, impiegato per anni a Villa San Martino. Ci racconta poi, allargando la platea al sociale, di tutte quelle memorabili uscite del Cavaliere che hanno interessato i media internazionali come ci si interessa delle barzellette piccanti a una pizza dopo il calcetto: da Ruby a Noemi alle Olgettine tutte, sfogliando lì in mezzo tristi pagine come quella del “kapò” a Schulz o delle battute sulla Merkel o su Obama.

E quindi davvero, davvero abbiamo bisogno di Berlusconi per riprenderci dalle sbronze populiste? Davvero questo splendido popolo per sollevarsi deve tornare ancora ad abbassarsi? Prendiamo in mano la storia, per rispondere: abbiamo numeri, sentenze e verbali, abbiamo così tanto materiale da riempire faldoni e scaffali e pareti, e abbiamo la possibilità di mettere tutto questo sul piatto giusto della bilancia. Pensate sul serio che bastino la vecchiaia e i colpi di teatro a pareggiarne il peso?

Seba Ambra -ilmegafono.org