Era il 2005 quando Fabrizio Gatti, all’epoca giornalista de l’Espresso, si finse migrante per infiltrarsi nel CPT di Lampedusa e mostrare le condizioni terribili nelle quali i migranti erano costretti a vivere. Era il 2005, ma potrebbe essere uno qualsiasi degli anni successivi e, soprattutto, potrebbe essere uno qualsiasi di questi ultimi giorni. La storia non è cambiata, anzi, si dirige verso altri orrori, che si aggiungono a quelli che ogni giorno si ripetono nel Mediterraneo. Era il 2005, eppure hanno ancora il coraggio di chiamarla emergenza, a destra e a sinistra e, naturalmente, sui giornali che non sono più capaci di una narrazione autonoma dalla politica e dalle sue squallide e ininterrotte esigenze elettorali. Sul molo di Lampedusa la storia compie i suoi passi, mettendo miseramente a nudo la nostra epoca e le sue vergogne. Su quel molo, in questi anni, abbiamo visto le file infinite di cadaveri e bare, le sfilate ipocrite dei capi di Stato e di governo, abbiamo sentito le parole forti e mai ascoltate dell’attuale pontefice.

Abbiamo visto anche le manifestazioni delle associazioni e dei cittadini che difendono i diritti umani, l’umanità delle volontarie e dei volontari delle ong, gli atti di giustizia e resistenza civile di capitane e capitani coraggiosi. Abbiamo visto persino le cariche ignobili delle forze dell’ordine contro i profughi, contro gente inerme e stremata, ammassata sul molo per colpa di un governo italiano e di istituzioni europee incapaci di occuparsi del tema senza trascinarlo in uno sporco gioco di equilibri di potere e propaganda elettorale. Il mondo è passato a Lampedusa e Lampedusa, suo malgrado, è diventata l’impietosa fotografia di un mondo nel quale tutto, a ogni livello, ruota attorno ai propri interessi parziali, mentre le minoranze sudano per mantenere ancora in vita i valori della solidarietà e della giustizia. Esattamente come avviene anche in altre parti d’Italia e d’Europa, toccate dal viaggio dei migranti. L’umanità è ancora accesa e viva in chi si preoccupa per i diritti di chi arriva e si trova catapultato sopra un’isola che non ha scelto.

La solidarietà di una parte dei cittadini e dei turisti che cercano di dare una mano a chi, stremato, ha toccato quella terra senza averne colpa e dopo viaggi e peripezie terribili, è ciò che dà colore a quella fotografia. Le ombre invece sono tutte nei volti e nelle parole dei politici che, come sempre, sfilano indegnamente, riempiendo le agenzie con slogan, soluzioni criminose e incostituzionali, promesse funeste. Non ha davvero senso commentare le assurde proposte italiane, né i punti della Von der Leyen, perché sono soluzioni illegali e parole vuote, sono un condensato triste e spietato di aria e fumo, che in modo diverso girano attorno alla questione esclusivamente per soddisfare esigenze di comunicazione, per disegnare il dialogo con i propri interlocutori. Siano essi gli elettori o i gruppi di potere o le altre nazioni.

Giorgia Meloni e Matteo Salvini, che sull’odio verso i migranti hanno costruito le loro carriere politiche, sfruttando la narrazione tossica, farcita di fake news, che i penosi mass media al loro guinzaglio hanno scientificamente messo in atto, non hanno la minima idea di come si possa far fronte a una situazione simile (che peraltro non è diversa da quelle affrontate in passato da altri Paesi e governi). Lo dimostrano le loro tesi farneticanti, dai blocchi navali alla guerra alle ong, dalle detenzioni prolungate al “fermare le partenze”, fino ai loro strepiti fasulli sull’allarme sicurezza. Nessun blocco navale potrà mai essere ammesso, ma soprattutto nessuna soluzione criminale, che schiacci ulteriormente i diritti umani, potrà fermare un fenomeno epocale come l’immigrazione. Il mondo diseguale che Meloni, Salvini e le oscene politiche italiane ed europee degli ultimi decenni hanno prodotto non potrà rimanere nascosto dietro gli slogan e i giochi politici. Non sarà il raduno moscio di Pontida, con le farneticazioni grottesche dei suoi tristi e fallimentari tribuni, ospiti inclusi, a incidere sulla storia.

Perché la storia racconta che l’umanità schiacciata prima o poi si ridesta. E se non lo fa per ribellarsi, lo fa per scappare, per muoversi, per cercare una speranza laddove possibile. E questo sta già avvenendo da tempo. Nessun blocco potrà fermare il flusso. L’unica cosa che la politica può fare è evitare che in quel movimento ci siano dolore, affari, orrori. Invece no, si continua a parlare di accordi con Paesi che non rispettano i diritti umani o che a ciò aggiungono anche la connivenza con i trafficanti di esseri umani. Si continua a vedere i migranti e chi cerca di sottrarli alla morte come un problema, mentre si cercano accordi con chi li sfrutta, li sottopone a violenze inaudite, li lascia in balìa del mare, un mare che la politica italiana e quella europea hanno svuotato di testimoni e riempito di regole disumane. Il problema è proprio quello, l’umanità. Quella che non alberga nell’animo di chi governa, ma anche in quello di quei cittadini che vogliono “la loro pace”, che “non vogliono più vedere i migranti per strada”, che mettono magari la festa del paese o il turismo davanti alla sofferenza degli esseri umani.

I cittadini sono complici di tutto questo se puntano il dito contro le vittime di questa epoca e non invece contro chi le costringe a scegliere vie pericolose per poter inseguire una speranza, o le costringe a tornare nelle mani degli aguzzino o a restare parcheggiate per mesi in centri che sono come prigioni. Questo tipo di cittadini, purtroppo in costante aumento, vede i migranti come un carnaio indistinto. Che siano morti o vivi, non importa, vanno bene solo se fruttano o risultano utili e a basso costo, altrimenti devono sparire. Perché la vita del quartiere, dell’isola, della città, del capoluogo, e così via, non ha spazio per ciò che viene da fuori e ci costringe a guardarci in faccia e a scoprire quello che siamo veramente e miseramente come popolo.

D’altra parte, se abbiamo eletto certi rappresentanti, se abbiamo prodotto un degrado politico così ampio, con personaggi privi di cultura, sapere e capacità, che da oltre due decenni bighellonano nei salotti politici e televisivi presentandosi ogni volta come nuovi, la colpa è anche un po’ nostra come popolo. Abbiamo costruito un Paese nel quale l’odio è diventato la benzina quotidiana del dibattito, l’ipocrisia il condimento perfetto, l’inettitudine il requisito aureo per fare carriera. La storia, per nostra fortuna, è più grande di ogni cosa e prima o poi demolisce tutto ciò che ha radici malate. Solo che la storia è lenta e il tempo che trascorre è intriso del sangue e del dolore di chi oggi è diventato ultimo. Ma la storia alla fine presenterà il conto. Alla politica e al popolo, ai governi e ai suoi figuranti. Inclusi certi giornalisti.

A tal proposito, mi si conceda, in appendice, una domanda. La rivolgo all’Ordine dei giornalisti di cui faccio parte e alle associazioni dei giornalisti. Che senso hanno le regole, gli esami, i tesserini, le carte deontologiche, i corsi e i crediti, le quote di iscrizione, se poi si permette a Maurizio Belpietro e al suo quotidiano “La verità” (mai nome fu più sbagliato), di costruire titoli vomitevoli come quelli che abbiamo letto in questi giorni, ad esempio quello che in un solo istante equipara gli stranieri e le persone appena sbarcate a degli stupratori e assassini? Cosa sono dunque le regole? Chi le fa rispettare? E soprattutto, quando? So già che la risposta non arriverà, semplicemente perché siamo in Italia e in Italia le regole (peraltro nella versione più dura e disumana) amiamo farle solo per gli altri e per chi non ha abbastanza forza per ribellarsi.

Massimiliano Perna -ilmegafono.org