Sono passati meno di dieci giorni dalla morte di Diego Armando Maradona e la narrazione collettiva e frenetica sulla vita e la gloria del Pibe de Oro inizia a scemare. Adesso, l’attenzione è rivolta al mistero sulle ultime ore di vita, alle presunte negligenze di chi doveva curarlo e agli albori di una lotta all’eredità che si annuncia sanguinosa. Mai la morte di un personaggio dello sport ha ricevuto così tanta attenzione. Forse proprio perché Maradona non era semplicemente uno sportivo, un calciatore dal talento sovrannaturale o uno che inseguiva un pallone. No, Maradona era il calcio, ma soprattutto era un personaggio letterario, protagonista di una vita che comprende e narra tutto, dalla povertà al sogno, dal riscatto al successo planetario, dall’eccesso alla caduta. Si è scritto tanto di Diego, sono state messe ai raggi X la sua vita e la sua morte. Spesso a parlare di lui, a non capirne l’importanza, il valore simbolico della sua figura, sono persone che non lo hanno mai visto giocare o che non ne hanno mai seguito le vicende, inclusa la sua parabola ascendente e discendente.

Oppure sono persone che accusano chi celebra questo eterno ragazzo che ha segnato un’epoca di dare troppa attenzione a lui nelle ultime ore della Giornata mondiale contro la violenza sulle donne, come se anche il fatto di essere morto il 25 novembre fosse una sua colpa. Inutile tornare sulle polemiche sterili, sull’insensatezza di paragonare un evento che il calendario ci propone ogni anno, riempiendolo peraltro di ipocrite e stucchevoli indignazioni a scadenza, con l’evento eccezionale e imprevedibile della morte di un personaggio il cui valore non sta nei titoli dei giornali che hanno raccontato, spesso in modo menzognero, il suo privato.

Chiunque è libero di celebrare o non celebrare un uomo che se ne va, ma nessuno è libero di calunniare, demolire, distruggere chi il male lo ha procurato solo a se stesso e chi ha sempre chiesto di non essere preso ad esempio, né da vivo né da morto, se non per quello che di straordinario e irripetibile ha fatto sul campo. Con quel pallone che era per lui protezione, salvezza, speranza, amicizia vera, lealtà. “Io ho sbagliato e ho pagato, ma il pallone non c’entra, il pallone non si macchia”, disse Diego davanti a migliaia di persone. Ecco, se è vero che di Maradona si è detto tanto, forse anche troppo, sia da vivo che da morto, ora proviamo a spostare un attimo il focus. In che modo? Parlando di voi, cioè di tutti quelli che hanno inquinato l’emozione di un momento che non oltraggia nessuno e che ciascuno ha il diritto di vivere ed esprimere per tutto il tempo che ritiene necessario.

Parliamo di voi, di chi ha usato qualsiasi notizia, qualsiasi debolezza di Maradona per esprimere una cattiveria inaudita. Parliamo di chi ha cercato qualche minuto di visibilità per contestare la commemorazione di Maradona, definendolo violentatore, drogato, uomo violento, arrogante miliardario, padre egoista, camorrista, ecc. Eppure non esiste alcuna vicenda o denuncia di uno stupro compiuto da Diego. Il suo presunto essere violento con le donne, lo si lega invece a un video nel quale si vede il Pibe de Oro, visibilmente ubriaco, strappare il telefono dalle mani della ex compagna e forse lanciarlo. Un video, sulla cui veridicità peraltro ci sono sempre stati molti dubbi. Un episodio che peraltro stona con le parole d’amore e con la descrizione che, poche ore dopo la morte, la stessa ex compagna ha fatto di Diego, definendolo un uomo buono, generoso, rispettoso e gentile.

Così come dolci sono state le parole di Cristiana Sinagra, madre di Diego Jr, il figlio che Maradona riconobbe molti anni dopo e che con il padre aveva ormai recuperato il rapporto. Eppure voi, nonostante i diretti interessati piangessero la morte di Maradona, vi siete sentiti in diritto di sostituirvi a loro e lanciare giudizi e accuse. E la camorra? Già, la camorra, quella che ha sfruttato la dipendenza di Diego per renderlo ostaggio, per impaurirlo, per spingerlo a chiedere di essere ceduto e di andare via, già qualche anno prima del suo addio a Napoli. Una vittima delle sue fragilità e della camorra stessa lo avete trasformato in camorrista. E poi la droga, rispetto alla quale avete offerto lo spettacolo più indecente. Il dito puntato sulla tossicodipendenza, su una sua debolezza, su qualcosa che era fortemente legata alla dimensione planetaria, alla pressione folle che circondava Maradona e che schiacciava Diego, che era sempre quel ragazzino fragile e povero che scalò il mondo facendo fare al pallone quello che voleva e che nemmeno la fisica spesso ha saputo spiegare.

Un calciatore che Napoli, con il suo affetto, rese divinità, forse eccedendo in questo amore, in questa simbiosi con quello che, alla fine dei conti, era solo un ragazzo che voleva giocare a pallone e comprare la casa ai suoi genitori. Ora, qualcuno dirà: era un evasore. Vero, come tanti sportivi e personaggi noti che affidano ad altri la gestione dei loro soldi e che però continuate a idolatrare mentre accusate Maradona. Perché verso Pavarotti o Valentino Rossi nessuno ha puntato il dito per aver evaso milioni di euro. Ma verso il fuoriclasse argentino sì. A lui non si perdona nulla. E sapete perché? Perché vi fa paura il suo essere vero, il suo essere figlio di quella povertà che vi irrita. La povertà fastidiosa che apparteneva anche a quella Napoli nella quale Diego giunse. Una povertà che non si è fatta irretire, non ha chinato il capo ed è diventata ribelle. Vi disturbano gli eroi sporchi, quelli che hanno l’arroganza di non limitarsi a giocare divinamente e conquistare vittorie impensabili, ma che osano persino schierarsi, essere spietatamente sinceri, attaccare il potere.

Un potere selvaggio e crudele che lo ha torturato, lo ha crocifisso più volte, dopo averlo usato, seviziato e aver vissuto della sua luce. Un potere aiutato dalle cerchie di amici e collaboratori sbagliati che purtroppo hanno accompagnato Diego nel suo declino. Un Diego che era tremendamente solo, quando era lontano dal suo pallone, l’unico, oltre ai suoi genitori, che lo ha amato e compreso davvero. Il potere rispetto al quale Maradona era ribelle aveva volti e nomi precisi e non era solo calcistico. Ecco perché egli da geniale calciatore è divenuto presto un simbolo politico. Una metamorfosi non legata alla sua volontà, quasi un destino scritto da uno sceneggiatore brillante e cinico. Un simbolo, quel riccioluto numero 10, che può essere spiegato dalla commozione globale, dai messaggi di cordoglio e dalle lacrime di capi di Stato, incluso il Papa, di artisti, rock star, registi, attori, rivali storici, sportivi e squadre di altri sport. E da una foto: quella del muro di una casa bombardata in Siria, nella quale un artista disegna un murale dedicato a Diego.

El Diez, la Mano de Dios, divenuto icona della speranza di chi vive da ultimo, nella miseria, nelle difficoltà. Una speranza che, piaccia o no, appartiene allo sport e al calcio in particolare che, soprattutto negli anni in cui Diego palleggiava a Villa Fiorita, mostrava ancora la democratica opportunità di riscatto affidata un pallone e a un campetto. Una opportunità che nessuna istituzione ti dava. Un eroe sporco, quel Diego, che (chiedetevi il perché) è stato amato dagli ultimi di tutto il mondo, quelli che seguivano il calcio e quelli che non lo seguivano. Gli ultimi, proprio loro, o semplicemente gli esseri umani, quelli che possono salire e cadere, quelli geniali e talentuosi, ma fragili e pieni di errori e colpe da scontare. Errori che non hanno fatto male a nessuno e che nessuno dovrebbe giudicare, da una tastiera come dalla redazione di un giornale o dallo schermo di una tv.

E non solo quando riguardano un campione famoso, ma anche quando riguardano una persona qualsiasi, che si è smarrita in se stessa e nelle sue debolezze. Perché Maradona era Maradona, non voleva essere un esempio, era solo un uomo, sincero nel bene e nel male. Come ha dimostrato di essere.  Voi che lo giudicate sentendovi “come Gesù nel tempio”, invece lasciate molti dubbi sulla vostra sincerità. E per di più non avete nemmeno il talento di Maradona da offrirci come compensazione. Allora a voi dico: aprite i vostri armadi e se, per caso, sono lindi e irreprensibili, allora chiedetevi seriamente da cosa nasce tutta questa crudeltà violenta verso l’imperfezione di un uomo. Chiedetevi perché diventate così spietati quando l’imperfezione di un essere umano non collima con i vostri archetipi da impiegati o da borghesi della morale. Guardatevi dentro. Diego è già oltre, ha dribblato anche la vostra coscienza.

Massimiliano Perna -ilmegafono.org