Le elezioni 2022 per la Camera dei Deputati e per il Senato della Repubblica sono ormai alle porte e nelle ultime settimane abbiamo ascoltato ogni genere di promessa elettorale da qualunque partito, su qualunque mezzo di comunicazione. Dalla televisione e dai suoi “salotti” (che somigliano più a classi d’asilo) ai post di Facebook, dalle adv su youtube al grande sbarco su TikTok. Ma se i dibattiti pubblici scarseggiano di proposte e, quando le tematiche vengono affrontate, sono descritte in maniera molto confusa e superficiale, spulciando i programmi elettorali dei vari partiti e delle varie coalizioni possiamo provare a farci un’idea di come intendono gestire il Paese nella prossima legislatura. Tra flat-tax, patrimoniali, reddito di cittadinanza, omogenitorialità e famiglie tradizionali, ius scholæ e chiusura porti, sembra che le differenze siano abissali. Ma ad un’analisi un po’ più attenta possiamo notare come tutti i partiti, da destra a sinistra, concordino su una cosa: la totale inesistenza di strategie e regolamentazioni per il settore culturale.

Su queste pagine abbiamo toccato più volte l’argomento “gestione politica della cultura”: dal caso dello Stadio “Artemio Franchi” di Firenze a It’sArt, passando da come un tweet di Sgarbi abbia fatto chiudere una mostra che il critico d’arte/politico non aveva nemmeno visto. Ma andiamo a vedere cosa offrono le varie fazioni politiche riguardo a tale tema e quali soluzioni propongono su questi enormi problemi.

Alleanza Verdi-Sinistra. Il micro-paragrafo dedicato alle proposte culturali di questa coalizione si apre con un claim di una banalità quasi imbarazzante: “Proteggere l’ambiente, la bellezza, le comunità”. Dopo un lungo paragrafo sulla protezione della biodiversità, vengono dedicate poche righe a proposte di protezione dei centri storici e proprietà demaniali dalle multinazionali (che può anche andare bene, ma con quali manovre?) e alla costruzione di piazze e piste ciclabili nelle periferie (ma quali periferie, urbane o rurali? E i piccoli borghi? E i comuni non capoluoghi?). In più c’è un raccapricciante paragone suk Patrimonio Culturale come “Petrolio d’Italia”. Da un partito ecologista che rifiuta anche il nucleare, paragonare un concetto vasto e complesso che comprende materiale e immateriale, che è nato con l’umanità e morirà con essa, ad una delle fonti energetiche fossili che (oltre ormai a scarseggiare) ha praticamente distrutto tutto ciò che vorrebbero difendere, non è una scelta felice e lascia alquanto basiti.

Partito Democratico. Il PD propone inizialmente di ridefinire la dimensione pubblica della cultura – finalmente, dirà qualcuno – ma in che modo? “Incrementando offerte culturali nelle periferie metropolitane” che, speriamo, non si traduca con i soliti murales nei palazzoni. Poi parla di “incrementare gli istituti autonomi e le realtà culturali interne con prestiti di opere da collezioni importanti”. Benissimo, ma senza percorsi studiati e dedicati all’accessibilità e alla fruizione inclusiva che tenga conto di tutte le sfaccettature della società, se mi fai arrivare un Raffaello in una casa-museo sperduta nelle campagne di “chissà-dove”, questo non aiuta molto. Inoltre, il programma dei democratici propone di rafforzare i concorsi esterni per dirigenti (perché si sa, tedeschi e olandesi le cose le fanno meglio) a discapito delle centinaia di professionisti che da anni aspettano di essere regolarmente assunti e delle migliaia di giovani che vanno avanti a stage. Altro punto che toccano è la digitalizzazione del patrimonio (penso intendano le collezioni museali pubbliche), che va bene, ma a che scopo? Un’altra fallimentare “Netflix della Cultura” o riprendiamo l’altra indelebile macchia digitale italiana, ossia “verybello”? Senza una strategia di comunicazione e diversificazione dell’offerta, a ben poco servirà. Nemmeno nominati restano archivi e biblioteche che, al momento, riversano nelle condizioni più disastrose.

+Europa. Nel loro programma la cultura è trattata come ultimo punto del capitolo sulla formazione e propone di “incentivare l’affidamento, anche a soggetti privati, della gestione dei siti culturali, nell’ottica della diminuzione della spesa pubblica e di una maggiore attività e tutela del Patrimonio Culturale, soprattutto per le aree attualmente dismesse”. Dunque, anche qua sembra che il settore cultura non sia competenza dello Stato e che il patrimonio sia un mero accumulo di roba che deve solo essere ammirato. Niente male per il partito europeista che non tiene in considerazione il piano New European Bauhuaus voluto dalla Commissione Europea, che si prefigge di raggiungere il Green Deal anche attraverso cultura e creatività.

Movimento 5 Stelle. Il partito che più di tutti rivendica la vicinanza al popolo e la risoluzione dei problemi reali delle persone, regala un titolo che, a chiunque lavori o vorrebbe lavorare in questo campo, fa accapponare la pelle: “Dalla parte del Turismo per Valorizzare il nostro Patrimonio Culturale e Artistico”. Anche qua ritorniamo ad un totale svilimento dei Beni e delle attività Culturali a vassallaggio del turismo (effettivamente il MiC è durato anche troppo, meglio tornare MiBACT). In che modo? Con “l’istituzione di una piattaforma per l’incontro tra i bisogni dei turisti e le offerte territoriali”. Peccato che esiste già, si chiama “italia.it” e se non conosci questo sito, un motivo ci sarà: non lo usa nessuno.

Fratelli d’Italia, Lega Salvini, Forza Italia e Noi Moderati. Partendo dal titolo che è un mischione – “Made in Italy, Turismo e Cultura” – lo scopo è quello di “valorizzare la bellezza d’Italia nella sua immagine riconosciuta nel mondo”. Quindi facciamo decidere agli altri come e cosa ci valorizza e ci rappresenta come popolo. Continuiamo con la spettacolarizzazione dell’antichità, restando saldamente incatenati all’idea ottocentesca di quel che fu, senza minimamente preoccuparci di come la società si sia evoluta e dei profondi cambiamenti culturali che sono avvenuti nel corso degli ultimi secoli. Continuano poi con la “valorizzazione del Patrimonio Materiale e Immateriale”, che altro non è che la trasposizione della prima stesura dell’art.9 della Costituzione nel ‘47. Solo che l’art.9 è stato modificato proprio quest’anno, includendo ecosistema e biodiversità. Dopo un trafiletto sulla valorizzazione delle professionalità culturali (senza sapere in che modo) e sulla digitalizzazione, abbiamo la “tutela della Nautica e delle Imprese Balneari”. Importante? Probabile. Ma non è chiaro cosa c’entrino le imprese balneari con archivi, biblioteche e musei.

Azione, Italia Viva. La coalizione del “terzo polo” è quella che spende più parole nella cultura, anche se, pure qua, “il nesso tra cultura e turismo è molto stretto”. Dopo una buona premessa di dati disastrosi sulla partecipazione culturale dei cittadini e su quanti pochi libri si leggono, anche qua il paesaggio è trattato come becero strumento turistico, invece di essere messo in primis a disposizione e fruizione del territorio. Tra ingressi gratuiti ai musei per ISEE sotto i 15.000, doppi finanziamenti (pubblici e privati) alle istituzioni e viaggi a Roma gratis per i 18-25enni, non si capisce, però, da dove debbano venire questi soldi e dove siano le strategie per la circolarità e la crescita del mercato.

In poche parole, tra chi se ne lava le mani e chi vuole usarla come specchietto per le allodole, nei programmi elettorali dei principali partiti la cultura è trattata con superficialità, indifferenza e totale mancanza di reale conoscenza delle enormi problematiche del settore. Negli anni della pandemia, della crisi economica e di una seria progettazione di una ripresa funzionale, la regolamentazione di un intero settore totalmente allo sbando sembra essere una richiesta assurda. Negli ultimi anni, molte associazioni come AWI (Art Workers Italia), che si propone come primo sindacato dei lavoratori culturali (si, non c’era nemmeno un sindacato dedicato), o Mi Riconosci? Sono un Professionista dei Beni Culturali, hanno raccolto migliaia di testimonianze dirette, dai custodi ai dirigenti, e hanno lavorato duramente a delle proposte di cambiamento, chiedendo a gran voce di essere ascoltati o, quantomeno, considerati all’interno del dibattito.

In particolare i professionisti di Mi Riconosci? hanno già da qualche anno avanzato proposte concrete sulla riorganizzazione e regolamentazione del Sistema Culturale Nazionale, fatte tenendo conto delle voci di chi nel settore ci lavora. Per non parlare della proposta dei 7 miliardi per la Cultura in cui sono state pianificate al dettaglio manovre e riforme che si sarebbero potute attuare con il PNRR e che, naturalmente, non sono state minimamente prese in considerazione. Nel frattempo le Soprintendenze sono a corto di personale e Archivi e Biblioteche continuano a chiudere. I servizi museali (dalla biglietteria, agli uffici stampa e comunicazione, servizi di pulizie, guide, custodi e curatori) continuano invece ad essere esternalizzati alle solite quattro (letteralmente) aziende che assumono con contratti a progetto e apprendistati, intascandosi la maggior parte dei finanziamenti statali. I soldi del PNRR, infine, verranno investiti in riforme strutturali che a ben poco serviranno sul lungo termine e la totale mancanza di proposte e strategie nel dibattito politico fanno pensare che, purtroppo, poco o nulla, ancora una volta, cambierà.

Sarah Campisi -ilmegafono.org