È stato accolto con grande calore Papa Francesco nella sua visita a Erbil il 7 marzo scorso: una folla con i colorati abiti curdi tradizionali, occhi carichi di entusiasmo, canti, ramoscelli di ulivo tra le mani a librarsi nell’aria. E così il Kurdistan, terra esempio di convivenza e abbraccio tra etnie e religioni, diventa per un giorno anche la casa del Papa. I curdi erano in fermento, le strade emanavano gioia per l’attesa, brulicavano di volti, sguardi curiosi, cartelloni. La scritta “Welcome Pope” in varie strade per la città. Disegni e cartelloni raffiguranti il Papa che, al suo arrivo, è stato accolto da varie figure governative della Regione del Kurdistan, tra cui il presidente Nechirvan Barzani e il primo ministro Masrour Barzani.

“È un grande onore per noi e motivo di orgoglio per il popolo del Kurdistan”, ha dichiarato il primo ministro. Papa Francesco ha ringraziato Barzani per la calorosa accoglienza ricevuta: “Da tempo volevo visitare la Regione del Kurdistan – ha dichiarato il pontefice –  e sono molto felice di essere riuscito a rispondere oggi al vostro invito”. “Sono grato che, nonostante siate in guerra – ha poi proseguito – avete accolto i cristiani sfollati e altre minoranze da Mosul, Nineveh Plains e Qaraqosh. Avete aperto le braccia ai cristiani. La guerra è distruzione, ma con il simbolo della vostra accoglienza verso i più deboli, avete sconfitto il nemico”. Parole forti quelle del Papa, in grado di soffiare un lieve vento di pace su una città con ferite ancora sanguinanti, a cielo aperto, dopo i recenti attacchi subiti dalle milizie filoiraniane. Un messaggio non irrilevante, potente, che ha risollevato speranze in via di spegnimento.

“La visita di Sua Santità ha portato benedizioni per tutti noi. Chiediamo la vostra preghiera e tutta l’assistenza che potete fornire al Kurdistan e alla sua gente ”, ha detto Nechirvan Barzani. La santa messa, celebratasi presso lo stadio “Franso Hariri” di Erbil, si è svolta di fronte agli occhi di 10.000 persone. Quando è arrivato, Papa Francesco ha incensato l’altare e una statua della Vergine Maria che era stata decapitata e le sue mani tagliate dallo Stato Islamico (ISIS). Un gesto impattante per i segni che le comunità religiose portano ancora delle violenze subite. “Qui in Iraq, molti vostri fratelli e sorelle, amici e concittadini portano le ferite della guerra e della violenza. Ferite sia visibili che invisibili – ha detto Francesco -. La tentazione è di reagire a queste e ad altre esperienze dolorose con forza umana, invece Gesù ci mostra la via di Dio, la strada che ha intrapreso, la strada sulla quale ci chiama a seguirlo. Per pulire i nostri cuori, dobbiamo sporcarci le mani, sentirci responsabili e non limitarci a guardare mentre i nostri fratelli e le nostre sorelle stanno soffrendo”.

A nome di tutta la folla è intervenuto l’arcivescovo di Erbil, Bashar Warda, ringraziando il Papa per il suo viaggio in Iraq: “Ti ringraziamo per il tuo coraggio, perché sei venuto qui nella nostra terra travagliata, una terra così piena di violenza, un luogo di infinite controversie, sfollamenti e sofferenze tra la gente. E il fatto che lo abbiate fatto in questo periodo di pandemia globale e crisi rende reali ora come non mai le parole di Cristo ‘non abbiate paura’”.

Il Pontefice ha espresso tutta la gratitudine per l’impegno che il KRG ha sempre avuto nei confronti delle minoranze etniche e religiose martoriate dai grandi regimi. “Nonostante la grande povertà e difficoltà, molti di voi hanno generosamente offerto aiuto concreto e solidarietà ai poveri e ai sofferenti. Questo è uno dei motivi che mi ha fatto venire come pellegrino in mezzo a voi, per ringraziarvi e confermare voi e la vostra fede nella testimonianza”, ha aggiunto Papa Francesco durante la messa di Erbil, rivolgendo un “sincero saluto all’amato popolo curdo”. Giorni commoventi, carichi di emozioni su di una terra che non ha avuto vergogna a mostrare le sue più grandi ferite, le rovine, i resti di una guerra, la distruzione, gli angoli di povertà e macerie, bensì le ha mostrate come punto di forza dal quale ripartire. Impattanti le immagini da Mosul e Niniveh, dove il bianco candore della veste del Pontefice sembrava quasi cullare le case ridotte in macerie. Un messaggio, forse, che resterà senza precedenti e che, si spera, non lasci più il Kurdistan soffocare in un silenzio assordante.

Rossella Assanti -ilmegafono.org