Entrare e vedere cosa c’è “al di là di quella porta”. C’è voluto tanto tempo, troppo. Eppure, anche quel tempo non sarebbe bastato senza l’impegno, il coraggio e la determinazione, di chi ha sempre speso ogni energia per aprire quella porta chiusa che ha protetto la violenza e la vergogna del lager di Via Corelli, a Milano, e nascosto per anni, nel silenzio e nell’indifferenza di gran parte della città meneghina e delle sue istituzioni, la dignità di persone ridotte a zombie. Troppi interessi, politici e non solo, hanno confinato quei richiedenti asilo ai margini della vita. Poi, un giorno, la gestione del lager di via Corelli entra finalmente nella lente di ingrandimento della Procura di Milano che, il 1° dicembre, ordina alla Guardia di Finanza di entrare a sorpresa nel CPR. Ora nessuno può più fingere di non sapere e di non vedere tutta la vergogna nascosta per anni: perquisita la struttura, acquisite la documentazione dell’ente gestore privato, le immagini e i video che mostrano le reali condizioni del centro di detenzione. È un passo tardivo ma importante, e su questo non ci possono essere dubbi, ma una domanda attende risposte che coinvolgono direttamente le istituzioni della città: perché solo adesso?

Sotto accusa è la società “La Martinina srl”, ma non si può dimenticare che quella società gestisce il CPR di via Corelli per conto della Prefettura di Milano e del ministero dell’Interno. Cosa ha fatto accendere, finalmente, le luci della procura? Sicuramente, e più di ogni altro fattore, ci sono le tante battaglie pubbliche degli attivisti di associazioni che da anni si battono con coraggio per i diritti umani e civili dei migranti e dei richiedenti asilo: l’Associazione Naga-Milano e la rete “Mai più Lager-NO ai CPR” non hanno mai smesso di denunciare quello che avveniva dentro quel lager istituzionalizzato. Nel marzo del 2023, e solo dopo moli rifiuti, sono anche riusciti ad entrare in via Corelli. Un accesso controllato ad ogni passo, con molti limiti e divieti. In precedenza, anche l’ex senatore Gregorio De Falco era riuscito ad ottenere l’accesso per un’ispezione nel centro di detenzione.

Accanto a loro, in questa battaglia di civiltà, alcuni giornalisti e quella parte di umanità sparsa che ancora esiste e resiste. Le inchieste di Altreconomia, hanno contribuito a svelare l’abuso di psicofarmaci per sedare i detenuti: “Rinchiusi e sedati” era il titolo di quell’inchiesta. Pochi giorni prima dell’ispezione del 1° dicembre, sempre Altreconomia aveva puntato il dito proprio contro “La Martinina”(leggi qui). Cosa emerge oggi, cosa è stato reso pubblico di questa ispezione della Guardia di Finanza? Emerge un presidio sanitario osceno: mancanza di medicinali e totale inadeguatezza delle visite di idoneità alla vita in un centro di detenzione, nessun riguardo per chi presenta gravi patologie. Manca un presidio psicologico, emergono la non conoscenza della lingua degli immigrati trattenuti e la mancanza di quel servizio di informazione legale cha “La Martinina” diceva di aver assicurato. A tutto questo si aggiungono le spaventose condizioni igieniche del centro, il cibo avariato e scaduto.

Questo per quanto riguarda le terribili condizioni di vita all’interno della struttura. Poi ci sono altri aspetti al vaglio della magistratura: dalla frode sulle pubbliche forniture alla turbativa d’asta, relativamente ad un appalto da 4,4 milioni di euro per la gestione del CPR e sulla cui regolarità pesano troppi punti oscuri. C’è un particolare che non può essere taciuto: tutte queste violazioni, in questi giorni al centro dell’attenzione di giornali e televisioni, erano già state raccontate e denunciate per anni da Naga e “Mai più lager – NO ai CPR”. Le stesse associazioni che, il 25 ottobre di quest’anno, presso la Casa della Cultura a Milano, hanno indetto una conferenza stampa in cui hanno presentato il loro dossier “Al di là di quella porta”. Un libro aperto in cui viene raccontato nel dettaglio tutto quello che oggi è oggetto di inchiesta da parte della magistratura. Quel dossier è il risultato di un meticoloso lavoro di denuncia che da anni viene portato avanti, nel disinteresse e nell’indifferenza di chi quelle denunce avrebbe dovuto ascoltarle da tempo.

Torna allora, prepotente e amara, quella domanda: perché solo adesso? Proviamo ad alzare il livello delle responsabilità: la gestione dei CPR è affidata ai privati, in seguito a bandi, e sono le Prefetture ad effettuare la selezione dei candidati. Una volta vinto il bando, ai privati vittoriosi viene affidata la totale gestione dei CPR. Lo Stato non entra nella gestione, si limita a garantire l’aspetto chiamato “sicurezza”: quindi la presenza di polizia, carabinieri, militari all’interno dei CPR, nient’altro. Nessun controllo sulla gestione, nessuna attività di monitoraggio sul rispetto del contratto di gestione del centro. Il compito delle Prefetture e del Ministero degli Interni finisce con l’istituzione dei bandi e con la nomina del privato che se lo aggiudica. Il metodo è molto “pilatesco” e coinvolge tutti gli esecutivi che in questi anni hanno guidato il Paese: da una parte si ribadisce l’urgenza di creare Centri per il Rimpatrio dei migranti e dall’altra si chiudono gli occhi su chi li gestisce, lasciando a loro ogni libertà di scelta e di metodo sul regime di detenzione.

Claudio Sgaraglia è da pochi giorni il nuovo Prefetto di Milano, succede a Renato Saccone che, dopo cinque anni, lascia l’incarico. Spetterà anche a lui il compito di fare chiarezza e dare spiegazioni. Assordante, ma in linea con il metodo scelto, il silenzio del governo e del ministro degli Interni, lo stesso ministro che ha chiesto a gran voce la creazione di nuovi CPR nel Paese, uno per ogni regione. Stupisce e amareggia invece il silenzio con cui sindaci e amministrazioni comunali molto spesso accettano situazioni di questo tipo, perché “non dipende da loro”. Certo le decisioni sono del Ministero degli Interni e delle Prefetture, ma quando si amministra una città si ha il dovere di alzare una voce di denuncia e di protesta, in difesa di dignità e diritti civili calpestati. Difficile e rischioso, lo sappiamo tutti molto bene. Lo sa, più di tutti, l’uomo che, come sindaco di Riace, ha avuto il coraggio e la dignità di disobbedire a leggi ingiuste. Il prezzo pagato da Mimmo Lucano è altissimo, ma la sua dignità di uomo ha superato tutte le barriere che il ruolo di sindaco ha messo davanti alla sua strada.

Ecco perché oggi tocca al Comune di Milano e al suo sindaco fare sentire quella voce che in questi anni è stata tremolante se non assente. Il CPR di via Corelli deve essere chiuso, senza se e senza ma. In queste ultime ore il Consiglio comunale di Milano ha approvato un ordine del giorno, 28 voti favorevoli, 9 contrari e nessun astenuto, primo firmatario il consigliere Alessandro Giungi, in cui si chiede la chiusura del CPR di via Corelli. Già nel mese di maggio di quest’anno, un gruppo di consiglieri aveva presentato un odg in cui si chiedeva la chiusura del CPR, e a margine di quella seduta del Consiglio Comunale, il sindaco Sala aveva dichiarato pubblicamente che “semplificare sul CPR di via Corelli sarebbe un errore. È una situazione che va letta molto tecnicamente…”.

L’attenzione sul CPR di Milano non deve far pensare che via Corelli sia un caso isolato. Nei CPR la vita si spegne e il diritto non entra. È l’idea stessa dei CPR che deve essere combattuta e abbattuta su tutto il territorio, un’idea che ha l’odore sporco del business e di interessi privati. Un’idea che diventa un non-luogo dove confinare e soffocare gli ultimi della fila e lucrare sulla loro persona. L’associazione Naga-Milano e la rete Mai più lager-NO ai CPR dimostrano, ogni giorno, che un modo migliore si può ancora costruire: è possibile, basta solo smettere di chiudere gli occhi di fronte ad ogni porcheria. Si deve entrare e vedere cosa c’è “al di là di quella porta”.

Maurizio Anelli -ilmegafono.org