Avanti un altro. Nell’ostinata e ottusa guerra alle ong che svolgono operazioni di soccorso e salvataggio in mare, adesso è il turno del neoministro dell’Interno, Matteo Piantedosi. Dai tempi di Marco Minniti, la criminalizzazione della solidarietà sembra essere diventata la priorità per chiunque sieda al Viminale, come se questo Paese fosse strozzato dai disperati e non dalle mafie e dalla corruzione che ne inceppano i meccanismi di sviluppo economico e di crescita sociale. I migranti sono diventati il bersaglio costante dei governi che si susseguono, il capro espiatorio, il problema di cui sbarazzarsi. Nella retorica della paura e della sicurezza, così, si annacquano e si confondono artatamente i rischi reali, quelli che la cronaca nera e la cronaca giudiziaria ci ricordano ogni giorno e che non hanno nulla a che vedere con la presenza o la responsabilità dei migranti.

Salvini e Meloni hanno trascorso la loro intera carriera politica a costruire una narrazione fasulla e pericolosa, che ha acceso il clima e aizzato gli animi e l’odio nei confronti di ciò che è ritenuto lontano dal modello culturale occidentale. A questo lungo conato di razzismo e xenofobia, si è aggiunta la miserabile accondiscendenza di un centrosinistra incapace di segnare una direzione opposta e alla fine addirittura responsabile di avere iniziato una battaglia spietata e squallida contro le ong. A completare il quadro, si inserisca anche la parentesi breve e imbarazzante dei 5 stelle, dei decreti sicurezza, della volgare e infamante definizione di “taxi del mare”. Insomma, la colpevole abolizione delle missioni europee di soccorso è stata nascosta da un attacco feroce e trasversale a chi ha cercato di ovviare a una carenza che determina una quotidiana tragedia umanitaria, ossia morti in mare e naufragi che si compiono senza testimoni e senza la possibilità di salvare vite umane.

Una guerra, quella alle ong, combattuta con ogni mezzo, tra norme illegittime, indagini imbarazzanti, tentativi di delegittimazione, prove farlocche, azzardi giuridici. Governi, ministri e una parte della magistratura le hanno provate tutte, dimenticando che le navi ong agiscono nel rispetto del diritto internazionale e che la capziosa accusa di essere un fattore di attrazione (il cosiddetto pull factor) è smentita dai dati oltre che dalla realtà e dalla logica. E dimenticando inoltre che a violare i diritti, piuttosto, sono gli Stati, le loro norme, la loro chiusura, l’indifferenza e la complice collaborazione con Paesi illiberali e con le loro forze militari e di polizia, infarcite di trafficanti, ai quali è stata riservata persino accoglienza ufficiale in sedi e occasioni istituzionali.

Tutto questo oggi si riassume nell’ennesimo maldestro tentativo di nascondere la propria pochezza e la propria infima dimensione politica, attaccando ancora una volta la solidarietà. Ci prova, anzi ci riprova Piantedosi, ministro dell’Interno, già noto per aver collaborato, al tempo del governo Conte I, alla scrittura dei famigerati decreti Salvini, uno scempio giuridico franato tra ricorsi, casi di giurisprudenza e richiami del Quirinale. Ci riprova, il neoministro, e lo fa con una normativa che intende modificare le regole di comportamento delle ong. Una modifica che ha un solo obiettivo: demolire la solidarietà, sfiancare le navi delle ong, ridurre le operazioni di salvataggio in mare. La nuova misura pensata da Piantedosi e dal governo vuole infatti introdurre l’obbligo delle navi umanitarie di chiedere il porto non appena effettuato il primo soccorso, senza attendere oltre.

L’Italia, a quel punto, qualora fosse il porto sicuro più vicino, concederebbe l’approdo, ma non necessariamente in un porto geograficamente più rapido da raggiungere. Ad esempio, come è avvenuto nei giorni scorsi, si potrebbe concedere Livorno o magari Genova oppure chissà, in barba all’esigenza di prestare assistenza e cure ai naufraghi nel minor tempo possibile. Il gioco è squallido. Si costringe la nave a dirigersi subito verso la terraferma prima di ripartire, aumentando i viaggi e le spese di carburante. Non è ammesso nemmeno il trasbordo su una nave più grande. Chi soccorre ha una sola possibilità: chiedere il porto e lasciare il mare. La conseguenza non sarebbe, naturalmente, solo sui costi e sul futuro dei soccorsi umanitari compiuti dalle ong, ma anche sulle vite umane. Perché l’attesa tante volte permette di intervenire su altri naufragi e di salvare più persone, senza lasciare il Mediterraneo privo di attività di pattugliamento e salvataggio.

A questo si aggiungano altri due aspetti della strategia di Piantedosi. Il primo riguarda la richiesta di asilo o protezione da presentare dentro la nave e dunque allo Stato battente bandiera, cosa che viola apertamente le direttive europee in materia di asilo e il diritto internazionale. Il secondo riguarda l’arbitrarietà lasciata alle prefetture di sanzionare le ong che non rispettano quanto disposto dalle nuove norme di comportamento. I prefetti, dunque, potranno operare multe, sequestri e confische. L’azione contro le ong si sposta così dal piano penale a quello amministrativo, una strada pericolosa e anche un po’ ottusa, quella percorsa da Piantedosi, visto che già nel recente passato giudici amministrativi, tribunali italiani e corti internazionali hanno punito le decisioni dei governi relative, ad esempio, a respingimenti collettivi in mare o a trattenimenti ingiusti nei centri di identificazione. E visto che, fino ad ora, le ong alla fine si sono sempre viste riconoscere il rispetto delle norme internazionali e la correttezza dei comportamenti, oltre al fine umanitario della loro missione.

Malgrado ciò si continua a spendere tempo per tentare di sfiancare e colpire chi svolge un compito di civiltà e umanità, invece di agire ad esempio per promuovere un’azione di coordinamento e soccorso europea, lo snellimento delle procedure di richiesta di asilo e il superamento della Convenzione di Dublino in materia di possibilità di chiedere asilo e protezione in nazioni diverse da quelle di identificazione. Scelte che permetterebbero ad Europa e Italia di fare un passo avanti, ma che sicuramente farebbero perdere consenso elettorale a chi da anni punta sulla paura e sulla costruzione di falsi nemici per mascherare la propria incompetenza. Insomma, siamo alle solite. Dopo Minniti, Salvini, Lamorgese, ora Piantedosi. La guerra ai migranti continua.

Massimiliano Perna -ilmegafono.org