Lo scorso lunedì, la Procura di Palermo, nel corso dell’operazione “Passepartout”, è riuscita a fermare 5 persone con l’accusa di associazione mafiosa. Tra questi, due sono i nomi che risaltano: uno è quello di Accursio Dimino, noto boss mafioso del circondario di Sciacca; l’altro è quello di Antonello Nicosia, esponente dei Radicali, giornalista e per anni direttore dell’Osservatorio internazionale dei diritti umani, una onlus che si occupa di tutelare i diritti dei detenuti. Al di là dell’importanza che questa operazione assume nel contrasto alle mafie (Dimino è considerato un boss di primo piano), la cosa che ha colpito di più l’opinione pubblica è proprio l’arresto di Nicosia.

Secondo gli inquirenti, Nicosia sarebbe stato il tramite tra le carceri e i clan: nello specifico, avrebbe passato i messaggi dei boss detenuti alle famiglie mafiose d’appartenenza, aiutato e agevolato proprio dal ruolo che ricopriva. Come direttore dell’osservatorio, infatti, egli aveva la possibilità di recarsi spesso nei centri di detenzione e per questo motivo riusciva ad avere ripetuti contatti anche con boss di un certo calibro. Come risulterebbe dall’inchiesta, il suo ruolo avrebbe dunque favorito non poco questa figura di “collante” che lo stesso Nicosia avrebbe ricoperto per conto dei clan mafiosi.

Quel che ha sorpreso e sorprende maggiormente, però, è soprattutto la capacità e l’abilità con cui nel corso degli anni avrebbe mascherato questo “doppio gioco” messo in atto con tanta caparbietà: da un lato promotore dei diritti dei detenuti, conduttore della trasmissione “Mezz’ora d’aria” e persino teaching assistant presso l’Università della California (anche se dall’università non arrivano conferme); dall’altro elemento di spicco ed “organico alla famiglia mafiosa saccense”. Dalle intercettazioni, infatti, sarebbero emersi dettagli piuttosto importanti: tralasciando il volgare commento sugli omicidi di Falcone e Borsellino (bollati come “incidenti sul lavoro”), Nicosia avrebbe avuto contatti strettissimi con il latitante Matteo Messina Denaro (arrivando persino a chiamarlo “il primo ministro”) e con il padre ormai defunto. Non solo, lo stesso avrebbe persino discusso di organizzare l’omicidio di un imprenditore di Sciacca col boss Dimino, a dimostrazione dell’importanza che ricopriva all’interno dei meccanismi della famiglia.

A pagarne maggiormente le conseguenze di un comportamento tanto scellerato è stata poi la deputata di Italia Viva (ex Leu) Giuseppina Occhionero, che lo avrebbe assunto come assistente parlamentare giuridico-psicopedagogico. Nicosia avrebbe sfruttato proprio il ruolo di assistente della Occhionero per entrare nelle carceri e mettersi così in contatto con certi esponenti mafiosi. I parlamentari, infatti, sono tenuti ad effettuare delle visite nelle carceri durante il proprio mandato: ecco che Nicosia, in qualità di assistente, avrebbe trovato il modo perfetto per poter svolgere il suo compito nella più totale tranquillità e sicurezza.

La Occhionero, che negli ultimi giorni è stata ascoltata dalla Procura, si è detta raggirata e delusa dal comportamento di Nicosia (peraltro la collaborazione tra i due sarebbe durata solo 4 mesi) e gli inquirenti riterrebbero la parlamentare “parte lesa” della questione. Quel che ne esce fuori, ad ogni modo, è l’ennesima dimostrazione di come la mafia abbia assoluto bisogno di sfruttare la politica e infiltrarsi nei suoi canali, anche quelli legali. Lo stesso Pietro Grasso, leader per diversi anni di Liberi e Uguali, ha affermato che “cosa nostra cerca ancora rapporti con la politica, continua ad infiltrarsi nelle istituzioni”. Probabilmente, bisognerebbe effettuare controlli più severi su figure che ricoprono ruoli come quello di Nicosia ed evitare che possano accadere cose di questo tipo, che sconcertano e che, oltre al danno, lasciano anche il sapore amaro della beffa.

Giovanni Dato -ilmegafono.org