Sono 38 gli arresti effettuati nel corso di un’operazione antimafia realizzata dalle Squadre Mobili di Bari e Foggia, in collaborazione con il Nucleo Investigativo dei Carabinieri e dello SCO (Servizio Centrale Operativo). Gli arresti hanno visto protagonisti, tra gli altri, figure importanti come Federico Trisciuoglio, indicato come boss della “Società”, l’organizzazione mafiosa foggiana per eccellenza, Pasquale Moretti (figlio del boss Rocco) e tanti altri esponenti appartenenti a diversi clan mafiosi operanti nella provincia pugliese. Una vera e propria offensiva svolta dallo Stato che ha così voluto spezzare l’egemonia territoriale, economica e persino sociale della mafia in quella che, ormai da troppo tempo, appare come una porzione di Paese abbandonata a se stessa.

Le accuse per gli arrestati sono di vario genere: estorsione, associazione mafiosa, traffico di stupefacenti e concorso esterno in associazione mafiosa. Proprio di quest’ultima accusa dovrà rispondere un dipendente comunale, anch’egli arrestato, in servizio all’ufficio Dichiarazione Morte Stato Civile e accusato di aver inviato i nominativi dei defunti ad una delle cosche locali. Il tutto, ovviamente, al fine di permettere allo stesso clan di presentarsi alle agenzie funerarie preposte e chiedere loro, in maniera chiaramente estorsiva, una somma ingente da pagare. Insomma, quel che emerge dall’indagine eseguita dagli inquirenti è un chiaro scenario tipicamente mafioso, dove lo strapotere dell’organizzazione è a dir poco preoccupante, se non addirittura terrorizzante.

Per capire meglio cosa stia succedendo a Foggia e dintorni bisogna tornare al 2017, anno in cui due contadini vennero freddati da un killer mafioso per aver assistito, in maniera involontaria, all’omicidio del boss Mario Luciano Romito, capo dell’omonima cosca e da tempo in contrapposizione con quella dei Li Bergolis. Il caos generale causato da quell’omicidio così scellerato e ingiustificato fece così scalpore al punto da richiedere la presenza dell’allora ministro degli Interni, Minniti, che si recò a Foggia sul luogo del delitto. Da allora, come ha affermato anche il procuratore nazionale antimafia, Cafiero De Raho, “la mafia foggiana è divenuta il primo nemico dello Stato” , tanto che “dal 9 agosto 2017 sono state effettuate 60 operazioni antimafia, con 400 persone arrestate e decine di tonnellate di droga sequestrate, oltre a 67 interdittive antimafia”. La dimostrazione, insomma, di come “la risposta dello Stato sia sempre stata più forte”.

Nonostante ciò, però, la pressione mafiosa non sembra aver risentito poi così tanto di operazioni del genere. Secondo gli inquirenti, infatti, praticamente tutti, a Foggia, avrebbero continuato ad essere vittime delle attività estorsive messe in atto dai clan: grandi imprenditori, piccoli commercianti, persino gli ambulanti. E poi onoranze funebri, imprese edilizie, addirittura i fantini delle corse dei cavalli (ovviamente pilotate). Insomma, appare chiaro come il problema legato a questa fetta di Paese vada ben oltre questi ultimi 3 anni in cui tanto (bisogna ammetterlo) è stato fatto in termini di lotta alla criminalità organizzata.

D’altro canto, però, non si può certo pensare (né pretendere) che azioni di contrasto a livello locale possano sopperire ad un’assenza della giustizia e della legalità che ha origini ben più lontane e radicate sia nella storia che nella cultura del posto. Oltre all’assenza di una politica sociale di ampio respiro che tolga terreno alle mafie. C’è ancora tanto da fare e sicuramente mostrare i muscoli, laddove ce ne sia bisogno, è un chiaro segnale di forza e di presenza. Ma non basta. La repressione, senza prevenzione, senza presenza sociale non può risollevare le condizioni di un luogo nel quale da anni la criminalità comanda, attraverso la paura e le reti di complicità.

Giovanni Dato -ilmegafono.org