Sono ormai passate tre settimane dall’inizio della quarantena a causa del Covid-19, prima per le zone rosse in Lombardia e Veneto e poi per tutto il resto d’Italia. Il governo ha prontamente fermato le scuole, le attività ristorative e tutte le occasioni di assembramento per cercare di limitare il più possibile il contagio. Dopo un periodo in cui, come previsto, non si sono visti gli effetti benefici di questa misura, finalmente in settimana sono stati registrati i primi giorni in cui il numero dei contagiati è aumentato meno rispetto ai giorni precedenti. Chiaramente questo è solo l’inizio e per far sì che questa fiammella di speranza che si è accesa non si trasformi in un fuoco di paglia, urgono nuove restrizioni che però metteranno ancora più a repentaglio l’economia italiana che arranca ormai da quasi un mese.

A far fronte, almeno in parte, a questo problema è arrivata il 21 marzo la comunicazione del premier Giuseppe Conte che ha annunciato l’imminente entrata in vigore di un decreto che avrebbe previsto la chiusura di tutte le attività non indispensabili. Il governo dovrebbe decidere sulla chiusura o meno delle fabbriche sulla base della classificazione Ateco, che è quella utilizzata dallo Stato per suddividere i vari settori dell’attività economica del Paese. Purtroppo, anche a causa delle pressioni esterne ricevute dal mondo degli industriali, nelle ore successive all’annuncio, il testo del decreto è stato modificato rispetto agli accordi pregressi che erano stati raggiunti anche tra l’amministrazione nazionale e i sindacati, che ha portato questi ultimi a minacciare lo sciopero generale.

Molte attività, come denunciato dal segretario della CGIL,Maurizio Landini, “stanno modificando il proprio codice Ateco per continuare a produrre”. Insomma sono ore frenetiche, il caos regna e c’è sempre chi cerca di approfittarsene. Non solo: il testo del decreto prevede che tutte le attività funzionali al mantenimento di una filiera produttiva potranno rimanere aperte, previa autocertificazione. Un modo come un altro per permettere ad alcuni settori, su tutti il metalmeccanico, di non chiudere i battenti nonostante non rientrino nelle denominazioni indicate.

E così migliaia di operai continuano a rischiare inutilmente la propria vita, mentre da tutto il Paese arrivano denunce di persone che lavorano in condizioni pessime in ambienti di lavoro nei quali non vengono rispettate le condizioni di sicurezza imposte dall’emergenza in atto. La situazione è aggravata dalla totale assenza di controlli in queste aziende e non solo. Il dato più allarmante arriva dall’appello di 400 infermieri di ospedali di tutta Italia che, attraverso l’USB (Unione Sindacati di Base), hanno denunciato la situazione di assoluto pericolo in cui si trovano a lavorare a causa della scarsità di strumentazione di sicurezza come mascherine e guanti, altro punto su cui i controlli dello Stato non possono essere deficitari.

In questo assurdo braccio di ferro, sicuramente non semplice è la posizione del governo che si ritrova a dover scegliere il giusto equilibrio tra la tutela della salute dei propri cittadini e la salvaguardia del sistema economico e sociale. Sta di fatto che in questo momento la priorità assoluta è quella di cercare, per quanto possibile, di evitare che la diffusione del virus diventi inarrestabile perché a quel punto il disastro economico, che comunque non sarebbe evitato, sarebbe solo un effetto marginale di questa pandemia. Ancora più urgente è la necessità da parte dello Stato di rispondere all’appello dei vari infermieri e medici che denunciano situazioni di disagio negli ospedali: non possiamo permettere che chi ha il compito di salvarci la vita muoia nel tentativo di svolgere il proprio lavoro. Nessuna situazione di emergenza può giustificare morti bianche legalizzate.

Vincenzo Verde -ilmegafono.org