Nuova coalizione, nuova premier, nuovo governo, ma non solo: l’esecutivo targato Giorgia Meloni porta con sé diverse novità, come una rinnovata nomenclatura di alcuni ministeri chiave. I concetti introdotti sono marcatamente di destra, coerenti con il pensiero della leader: si va dalla Sovranità alimentare affiancata all’Agricoltura, al Made in Italy associato alle Imprese, passando per la Sicurezza energetica. Ciò che più interessa e più colpisce, tuttavia, è la nuova definizione dell’Istruzione. Il dicastero affidato al professor Giuseppe Valditara, quota Lega, si chiama adesso Ministero dell’Istruzione e del Merito. In un’epoca in cui diventano sempre più tristemente frequenti suicidi di ragazzi oppressi dall’ansia da prestazione e rendimento a scuola e all’università, questa novità è come uno schiaffo potente e beffardo, che fa male e non risveglia.

Anzi, rischia di ricondurci nuovamente a quella spirale di competizione fatta di affanni, corsa ad alzare la mano per primi e confronto costante e malsano con chi sta intorno agli studenti, una sfida continua con gli altri, più che con se stessi. Mentre il mondo e il pensiero stanno finalmente muovendo passi verso uno stile di vita volto più alla persona che al culto della personalità, l’Italia mette il freno, inchiodando su un concetto che fa da colpo di frusta a chi il merito, nella sua accezione meloniana, non può coltivarlo, per tante ragioni. Si ritorna all’epica del “volere è potere”, una favola malevola che ha creato insicurezze e frustrazioni, una società di perenni insoddisfatti che temono il confronto con chi sembra essere migliore, in virtù di linee guida scelte dalle logiche dei potentati. Si ritorna alla politica delle ‘preferenze’ scolastiche, quando alcuni docenti, secondo criteri assolutamente arbitrari, stroncavano le potenzialità degli individui con atti che oggi definiremmo bullismo.

Qualche giorno fa la scrittrice Valeria Parrella ha twittato: “Il peggio è quella parola: merito, messa a fianco ai nostri ragazzi”, una frase che sintetizza il modo in cui questo falso rinnovamento del dicastero sia stato accolto da tanti. Il concetto di merito, cui fa seguito quello di meritocrazia, è troppo sfumato per poter essere normato, al punto da rischiare di diventare ombrello di una mitologia fatta di obiettivi, corse e competizioni che di sano hanno ben poco. Per anni ci hanno instillato la retorica del primo della classe, per troppo tempo gli studenti sono stati vittime di criteri personalistici e poco oggettivi, non è assurdo dire che tanti tra ragazzi e ragazze nei decenni siano stati penalizzati tra i banchi di scuola in virtù di questo parametro indefinito. Il merito, per com’è stato costruito nel tempo, dipende quasi interamente dalle condizioni di partenza di uno studente, e per condizioni intendiamo status sociale, reddito, ambiente familiare: purtroppo le doti e le capacità personali da sole non sempre bastano. È a monte di questo processo che bisognerebbe intervenire, nella formazione e nella svolta culturale che di colpo è arretrata a qualche decennio fa.

L’ex premier e attuale presidente del M5S, Giuseppe Conte, nel giorno della fiducia al governo Meloni è intervenuto alla Camera citando le parole di un professore, Enrico Galiano: “La scuola non è il posto dove si vanno a selezionare e premiare i migliori, la scuola è il posto dove si va a tirare fuori il meglio da ciascuno”, offrendo strumenti, stimoli e ambienti in grado di sviluppare le proprie capacità e non viceversa. La meritocrazia che ha danneggiato intere generazioni, finisce per premiare una stretta cerchia di persone, il cui merito è la casualità di essere nati nell’ambiente più favorevole. Nascere senza opportunità non è una colpa. E senza opportunità è difficile anche il merito, una parola che accanto a “Istruzione” rende ancora più gravosa l’ombra del giudizio. O del pregiudizio.

I nostri ragazzi non se lo meritano, per l’appunto, così come non se lo meritavano i tanti, troppi, fatti fuori dal sistema meritocratico, la più grande illusione del secolo. Il mondo non è soltanto ciò che è accaduto al singolo, cara presidente Meloni. Deve tenerlo a mente soprattutto oggi che ha la responsabilità di 57 milioni di italiani. La storia personale non può essere la storia di tutti, ma tutti, se stimolati, possono fare la storia.

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