La democrazia è democrazia. Piaccia o no, si vota e c’è chi vince e chi perde. Potrà non essere il sistema perfetto, ma di sicuro è il migliore. Anche perché, un istante dopo aver emesso il verdetto elettorale, la democrazia offre il suo messaggio rassicurante, che si sintetizza nella certezza dell’alternanza della quale è garante. Oggi tocca a loro, ma domani non è detto. Anzi, a ben vedere, negli ultimi anni ciò che emerge è proprio la volubilità dell’elettorato. L’hanno vissuta sulla propria pelle Berlusconi e soprattutto Renzi e i 5 Stelle. Accadrà anche alla Lega, perché governare con una leadership riconosciuta elettoralmente è molto più difficile e pericoloso del governare da presunto battitore libero. Soprattutto quando il leader designato non ha spessore politico ma solo un po’ di rude furbizia che però non produce soluzioni reali ai problemi veri del Paese.

Adesso Salvini dovrà lavorare davvero e questo significa essere presente laddove si svolge l’azione politica. Al Viminale e a Bruxelles non potrà più replicare il suo celebre assenteismo. Adesso dovrà esserci, presenziare, affrontare il dibattito. Perché la campagna elettorale è terminata e il ruolo della propaganda va ridimensionato. Lo farà? Non lo possiamo sapere. Molto dipenderà anche dalle mosse degli alleati grillini, che dovranno scegliere se continuare a fare gli umili servitori del loro alleato, avviandosi a una rapida scomparsa, o trovare un po’ di dignità in un cambio di rotta concreto. Intanto in Italia si continua a celebrare il trionfo leghista, con l’elettorato di segno opposto che invece sembra sprofondato in uno sconforto immotivato. La reazione più diffusa è di rabbia e di accusa verso gli italiani, tutti gli italiani, per il voto assegnato a un leader la cui pochezza è fin troppo manifesta per non essere vista.

D’altronde il risultato era atteso. Perché si sa che una parte degli italiani ha sempre nutrito una certa simpatia incondizionata per l’uomo rozzo che parla per slogan e non va oltre la superficie delle cose. Soprattutto se poi gioca il ruolo del perseguitato, si nasconde in un vittimismo goffo ma efficace per conquistare consenso nell’elettorato. In più ci sono i soliti gruppi di potere che amano chi si presenta come un sovversivo, incarnando il disprezzo per le regole, per le procedure. Insomma, a certi ambienti piace l’uomo forte che decide (o fa credere di farlo) e se ne infischia di tutto ciò che è regola, legalità, principi costituzionali, presentati di colpo come ostacoli o residui di un sistema che è nemico del popolo. Sconforto immotivato, dicevamo. Non solo per la volubilità elettorale tipica degli italiani del nuovo millennio, ma anche per un elemento che è molto simile quella valutazione del risultato che Renzi, cinque anni fa, rifiutò di fare.

Il voto alle europee è un voto strano, con dinamiche molto diverse rispetto a quello politico o amministrativo, come dimostra l’impatto notevolmente più ridotto della Lega alle comunali di questi ultimi mesi. Soprattutto la dimensione del successo è molto diversa se si mantiene l’occhio vigile sul Paese e sulle tendenze (come ha fatto egregiamente WuMing). L’affluenza alle europee è calata di due punti e si è fermata al 56%. Questo significa che esiste un 44% di italiani che non è andato a votare. E se la Lega cresce è perché radicalizza il voto, ma attirando solo chi già sta dalla sua parte politica: gli ex centrodestra (come dimostra la percentuale minima di FI), i grillini destrorsi che adesso hanno trovato il loro leader naturale e i neofascisti che vogliono rappresentanza e non vogliono stare a galleggiare nella melma del nulla. A questi si aggiunge poi quella porzione di indecisi che, sulla base del marketing politico, della propaganda e dello stomaco del momento, votano un po’ qua e un po’ là il “prodotto” nel quale più si riconoscono.

Dall’altra parte della barricata, c’è invece l’offerta solita di partiti che non cambiano mai del tutto, rimanendo stagnanti anche quando emerge qualche faccia nuova o si opera qualche sostituzione o restyling del simbolo. In mezzo, c’è un movimento che ha sbagliato tutto, perché era riuscito a conquistare elettori da entrambe le parti ma poi ha scelto di spostarsi verso destra, per seguire l’alleato sul suo terreno, risultandone una copia smunta e fragile. L’elettorato dunque può essere disegnato come un circuito nel quale girano le stesse persone, con alcune fazioni ben definite e qualche altra che con le sue oscillazioni sposta gli equilibri. Così, la lettura delle percentuali è molto differente, perché la Lega che trionfa alle europee in realtà rappresenta appena il 19% di tutti gli italiani. Fuori dal 56 o 58% dei votanti effettivi, infatti, resta quasi mezzo Paese che non vota. Ed è un partito che aumenta sempre di più. Un partito di elettori che non si sente rappresentato da questa politica.

Leggendo i dati elettorali in tutta Europa, dove i sovranisti rimangono ai margini mentre verdi e liberali crescono, potremmo azzardare che in Italia la fascia dei non votanti (circa il 20%) è composita. Probabilmente dentro di essa vivono in maggioranza liberali, ex comunisti, ambientalisti, progressisti, intellettuali, socialisti, tutti tagliati fuori da una offerta politica incapace di risultare credibile e illuminata. Ci sono quelli che non hanno più voglia di scegliere il male minore e votare chi ha tradito certi valori, né hanno voglia di optare per qualche formazione minuscola e frammentata, spesso ostaggio di rancori e di retaggi ideologici insensati. Esiste nel Paese un’area progressista moderna, solidale, ambientalista, laica e perfino cattolica che vive e opera ogni giorno nel volontariato, nelle associazioni, nel sociale, ma che non ha più alcuna intenzione di mischiarsi con soggetti politici incapaci di avere una posizione netta, precisa su temi importanti e su valori non negoziabili. Insomma, di fronte a un centrosinistra, ad esempio, che vive di moderazioni oscene su certe questioni, c’è una fetta della popolazione che sa da che parte stare e che non contamina il proprio diritto al voto con l’inganno del voto utile.

In questa voragine di rappresentanza bisognerebbe infilarsi, con qualcosa di nuovo che, dal basso, possa riunire tutte quelle anime attorno ai valori che hanno ispirato la Costituzione repubblicana, alla solidarietà, al rispetto per l’ambiente, a una politica economica sostenibile che sappia riportare crescita e occupazione riconoscendo diritti. Non è facile, ma è sempre meglio che stare con la testa fra le mani a disperarsi per un voto, che peraltro non è un verdetto definitivo, ma solo una indicazione di passaggio. E magari l’impennata (prevista) dei vincitori, prima del ridimensionamento.

Massimiliano Perna -ilmegafono.org