Quando si scrivono le pagine più buie della storia umana, c’è sempre qualcuno che, ex post, ammette di non aver letto con attenzione il libro che le contiene. È già accaduto, accadrà ancora. O forse sta già accadendo. Ci siamo fermati a pensare alla forma, dimenticando per un attimo la sostanza. Abbiamo guardato la copertina e intanto ci sono sfuggite le tante macchie di inchiostro che riempiono le pagine. L’ultimo libro è il tempo dentro il quale stiamo vivendo e non è un romanzo appassionante, ma un saggio funesto. In Italia ci siamo concentrati sui saluti romani e sugli osceni spettacoli come quello di Acca Larenzia, abbiamo affrontato (giustamente) il mai sopito rigurgito fascista, che inacidisce la nostra democrazia, come fosse soprattutto un fatto di forma, di rispetto delle regole e delle leggi nate durante la vita della nostra giovane Repubblica.

Mentre il dibattito prendeva la noiosa forma delle sterili richieste di presa di distanza da certi simboli e delle risposte goffe o dei silenzi imbarazzanti, la sostanza del fascismo continuava a serpeggiare, a tutti i livelli, nelle ordinanze, nelle procedure, nelle leggi e nei comportamenti quotidiani. Così, oggi ci accorgiamo, quasi sorpresi, che l’autoritarismo di questa destra ha già messo i piedi, vigliaccamente, sul dorso della democrazia. Lo ha fatto sin dall’inizio, tra menzogne e vittimismo, tra approssimazione e repressione. Gli ultimi giorni sono solo la manifestazione concreta di un clima che chi comanda ha costruito a colpi di censura, divieti, leggi liberticide e, infine, manganelli. Già, i manganelli. La repressione violenta e gratuita usata per abusare la democrazia, per colpire chi, inerme, pacificamente, sta esprimendo un’idea, un pensiero, un punto di vista. La protesta, la critica, il libero pensiero sono diritti che la Costituzione tutela, anche quando il corteo non è autorizzato.

Manganellare degli studenti e, in generale, chi sta solo manifestando in modo pacifico e senza alcuna possibilità di offendere, è un atto criminoso e fascista, una violazione dei principi fondanti della nostra Repubblica. Ed è sacrosanto che il Capo dello Stato parli di fallimento e lo rimarchi direttamente a chi gestisce l’ordine pubblico e ancora oggi, sfacciatamente, minimizza o nega l’evidenza. Il ministro Piantedosi mente spudoratamente quando dice che non vi è alcuna strategia politica dietro le manganellate di Pisa e Firenze. Ed è questa menzogna che aggrava le ferite inferte dai manganelli che, troppe volte, nella storia italiana, vengono agitati in eccesso dalle forze dell’ordine e scaricati soprattutto sulla pelle dei giovani. La scuola Diaz e la caserma Bolzaneto di quel drammatico G8 del 2001 restano uno squarcio profondo e sanguinoso nel libro della democrazia.

Peraltro, curioso scherzo del destino, in quel tragico G8, a Genova, si trovava in servizio anche l’attuale questore di Pisa. Non fu sfiorato da inchieste o sospetti, sia chiaro, ma ha visto da vicino quello che è successo allora, con una macelleria degna di un regime fascista sudamericano e, quindi, dovrebbe prestare maggiore attenzione al comportamento dei suoi uomini. Altra curiosità: anche allora, al governo, c’erano centrodestra e fascisti. Ma è solo un dettaglio. Forse. Ad ogni modo, chiusa parentesi, ciascuno tragga le conclusioni che vuole.

Torniamo a oggi. In questi giorni, tutti giocano a scaricabarile, ma è evidente che esiste una linea politica tesa ad armare la repressione. Perché non è possibile pensare che due questure di due città diverse “sbaglino” nello stesso giorno. E non solo. La strategia è stata largamente preannunciata dalle proposte di vietare le manifestazioni pro Palestina, dalle brame di censura contro chi parla di genocidio, dalle identificazioni ridicole e inaccettabili condotte dalle forze dell’ordine da quando questo governo è al potere, dalle leggi contro la libertà di stampa. Le manganellate e le menzogne sulla presunta necessità di tutelare possibili obiettivi sensibili, sono solo il punto palese di una strategia di compressione del dissenso. Ed è questo che differenzia la repressione del governo Meloni da quella, comunque inaccettabile, messa in atto anche da precedenti governi di diverso colore (cosa che peraltro dovrebbe suggerire ad alcuni di coloro che oggi alzano la voce e si indignano per i fatti di Pisa, la necessità di liberarsi di un po’ di ipocrisia).

Il vero problema, ad ogni modo, è il potere, il suo rapporto con chi critica e non si allinea, in poche parole con la libertà d’espressione alla quale, la nostra epoca, sembra essere divenuta d’improvviso allergica. Così come è allergica alla verità e all’umanità. Non basta, però, cercare le colpe o ragionare sulle cause, ma piuttosto serve tornare a bruciare di libertà. Le piazze sono oggetto di repressione? Allora vanno riempite di più, ogni giorno, mettendoci il corpo, tutti insieme, come hanno fatto a Pisa quando, a poche ore dalle manganellate, la piazza si è popolata di migliaia di persone scese per protestare contro la violenza. Bisogna urlare forte contro le identificazioni, rifiutarsi di spostare o chiudere gli striscioni e i cartelli che non offendono nessuno ma esprimono una critica, inneggiano alla pace, a un diritto 0 all’umanità. Dobbiamo costringere i ministri e la premier ad avere a che fare con un Paese diverso da quello dei sondaggi e della propaganda di governo.

Dobbiamo costringerli a non abusare di chi non ha voce, ad annusare il dolore degli ultimi, a strisciare i loro volti e affondare le loro narici, ad esempio, nei vestiti e nei resti dei naufraghi che hanno colpevolmente lasciato morire davanti a una spiaggia, come conseguenza delle politiche criminali sull’immigrazione. Bisogna obbligarli, ministro Piantedosi in testa, ad ascoltare il canto di sofferenza che proviene dai CPR, delle umiliazioni e dei trattamenti inumani subiti dai migranti rinchiusi ingiustamente dentro lager autorizzati. Dobbiamo contestare i ministri cialtroni, quelli che continuano a giocare con la politica come fosse un reality dell’orrore e dell’ignoranza, dobbiamo bruciare di rabbia davanti all’ipocrisia del potere, di chi, come ha fatto lo stesso ministro dell’Interno, cerca di colpevolizzare le vittime, affermando che la colpa delle manganellate è degli studenti che le hanno prese o il problema dei CPR sono i migranti stessi, accusati di vandalismo, nonostante le inchieste aperte dalla magistratura su quello che subiscono in centri come quello di via Corelli, a Milano.

Dobbiamo tornare a bruciare di libertà e dissenso, e di verità, non risparmiando nemmeno chi ha detenuto il potere in passato e pensa che abbiamo dimenticato le ingiustizie compiute ai danni degli ultimi. Non è più il momento di restringere la nostra rabbia dentro la lamentela privata, dietro uno schermo o in una composta assemblea. Qualcuno sta fascistizzando il nostro quotidiano, contando sul peso della rassegnazione, della paura e dell’ignavia. Non esistono altri modi di ribellarsi, se non quello di rispondere con la partecipazione, con le strade della democrazia e della non violenza, con la forza delle piazze e della disobbedienza civile, stando insieme a chi, anche nelle differenze, condivide la fedeltà a valori indiscutibili.

Se le forze politiche democratiche vogliono esserci, vogliono farlo, lo facciano senza ipocrisia, senza bandiere e protagonismi, mettendosi al fianco dei giovani, degli studenti o degli ultimi. Lo facciano per un ideale civico e per difendere la libertà. Lo facciano semplicemente per un’idea e lo facciano con il proprio corpo. Perché solo mettendoci il corpo, il più numerosi possibile, potremo fermare la repressione e costringere i manganelli a rimanere immobili. Non c’è più tempo da perdere. D’altra parte, il tempo non lo si ferma, il fascismo sì. Ci siamo riusciti già due volte.

Massimiliano Perna -ilmegafono.org