C’è una linea di demarcazione, solitamente, tra quel che è morale e quel che non lo è, tra ciò che dovrebbe e ciò che non dovrebbe essere. Nelle democrazie moderne, ad esempio, esiste una netta separazione, solida, radicata, tra il passato, con i suoi esempi, ed il presente, con le sfide da giocare e lo sguardo verso l’avvenire. In Italia, invece, questa linea di confine si scioglie in un canale fangoso dove detriti e rifiuti di ogni sorta si mischiano, percorrendo lentamente una strada melmosa che curva, scompare e poi d’improvviso riappare, ingombrante, appiccicosa. Uno stagno su cui giacciono le carcasse della modernità e della civiltà, scheletri che impietosi ci avvisano che questo non potrà mai essere un Paese normale, con le dinamiche proprie di un Paese normale.

Sfogliare un quotidiano italiano è ormai divenuto un atto riservato a coraggiosi e masochisti, cioè a coloro che riescono a trattenere il vomito e a coloro che vogliono farsi del male per non perdere di vista la propria rabbia, antidoto necessario contro la rassegnazione. Non c’è giorno in cui non si palesi uno scandalo che mette a nudo la fragilità delle istituzioni e il dominio inestirpabile del malaffare, di un gruppo di potenti che da decenni strappa a morsi la pelle di questo Stivale. E la cosa più incredibile è l’ingenuità di chi ancora continua a definire scandali dinamiche che si perpetuano da sempre, seppure con modi e in circostanze differenti, sin dall’Italia preunitaria.

Ma senza andare troppo lontano, restando negli ultimi 40 anni della nostra breve storia democratica, è davvero paradossale che l’ombra delle logge massoniche, dei sistemi di potere occulto che coinvolgono la “notabilità” ingorda della società italiana, abbia sempre avvolto il rapporto tra politica, istituzioni, imprenditori, ordini professionali e vertici militari, senza mai del tutto sparire, nemmeno dopo i cosiddetti “scandali”. P2, P4, Delta non sono solo sigle che somigliano ad una mossa del vecchio gioco della battaglia navale, ma sono marchi, etichette del potere incollate, come catene, sul futuro di una nazione, sul suo sviluppo, sulla crescita della sua statura democratica.

L’Italia è una cloaca infettata da un sistema di potere putrido e marcescente, in apparenza zoppo ma nella sostanza arzillo, vivo, forte. Gli italiani, dal canto loro, sono il cane dormiente che ogni ladro desidera. Annusano l’aria, percepiscono il vento, lo seguono, ma poi si accucciano nuovamente, delegando ad altri il compito di soffiare. Si indignano ad intermittenza, ma poi si accomodano sul divano, perché a star comodi si vive sempre meglio. E intanto sopra di loro si muove un impero oscuro. Logge, organi di influenza, strateghi dell’oppressione, avvelenatori di città, quartieri e case, speculatori, affaristi, criminali: questa la squadra di protagonisti che finiscono immortalati nei verbali d’indagine di magistrati e giornalisti contro cui immediatamente si mobilitano i maiali in doppio petto che rigurgitano fango. E l’ipocrisia fa da cornice perfetta a questo quadro desolante.

Un’ipocrisia che trova ideale rappresentanza nella classe dirigente italiana, incapace di tagliare quel cordone che la lega a gruppi di potere che, per il fatto di muovere voti e denaro, diventano soggetti a cui strizzare l’occhio e ammiccare, più o meno sfacciatamente, invece di divenire bersagli di denunce, attacchi, battaglie.  Il vento sta cambiando, lo abbiamo ripetuto in tanti e tante volte, però non può essere solo una parola o una sensazione, non possiamo fermarci a ripeterlo, godendo solo per il fatto di poterlo finalmente dire. La grande sfida inizia adesso.

È un’occasione storica, ma per vincere la scommessa del cambiamento bisogna prima di tutto cambiare costumi, “usanze” e “tradizioni” e, soprattutto, svegliare gli italiani, spingerli ad essere guardie incorruttibili e giudici severi, sfidarli ad osservare con rigorosa attenzione ed a puntare il dito dinnanzi al rischio di un ennesimo abbraccio immorale tra chi dovrebbe occuparsi del bene comune e chi disegna e realizza manovre oscure. Perché prima dei programmi elettorali, delle primarie, dell’assunzione di responsabilità, bisogna pensare a liberarsi da antichi vizi e riconsegnare a questa bella e dannata Italia il sapore di quella vocazione democratica che ha contraddistinto gli uomini migliori della sua storia, quelli di cui oggi si avverte terribilmente la mancanza.

Massimiliano Perna –ilmegafono.org