Sa Maestro Camilleri, avremmo preferito parlare di altro. Avremmo voluto parlare di tutte quelle cose che in questi giorni sono successe. Lei non le ha sapute le ultime, non ha potuto ascoltare le bugie, i finti presunti attentati e tutta quella solita carrellata di menzogne e complottismo tipica di chi mira a svolte restrittive e autoritarie. Ma poi è arrivata la notizia che mai avremmo voluto ricevere. C’era il suo nome e non siamo riusciti a pensare ad altro. Andrea Camilleri avremmo preferito continuare a leggerlo solo su titoli che annunciano una nuova uscita o un premio o uno spettacolo teatrale. E invece no. Ci ha salutato. Per sempre. E proprio ora che se n’è andato via, a mente fredda, mi vengono tante cose da dirle.

Prima di tutto, le chiederei se posso chiamarla Maestro o se magari pensa che questa sia una minchiata che possiamo lasciare ad altri. Perché Lei, alla fine di tutto, è Andrea Camilleri, lo stesso che ha attraversato il mondo, partendo da quel secolo complesso che è stato il Novecento, guardandolo con gli occhi di bambino e poi raccontandolo con la lucidità di un saggio, un uomo di cultura che non ha mai dimenticato di averlo vissuto a fondo questo mondo. Però, a me piace chiamarla ugualmente Maestro. E non per deferenza o per rispetto. La chiamerò così perché un Maestro è colui che educa, che impartisce una direzione nella quale valori come il sapere, la libertà, il rispetto per la bellezza, la valutazione non ottusa dell’autorità, il rifiuto per le sue burocrazie formali, l’amore verso l’altro, l’umanità sono fondanti. Irrinunciabili.

E lei, Maestro Camilleri, questi valori ce li ha fatti vedere tutti, ce li ha fatti ingoiare attraverso le sue parole inventate, il suo linguaggio unico e fantasioso che è diventato lingua comune. Ce li ha fatti entrare dentro, attraverso la lettura, le immagini, attraverso quella immedesimazione con i suoi personaggi, che non sono supereroi, ma esseri umani imperfetti, con i propri vizi, le proprie debolezze, le proprie incazzature, le proprie sregolatezze, ma tutti meravigliosamente dotati di umanità. Ci ha dato un linguaggio nuovo, ha aperto le porte della letteratura a un numero sconfinato di persone che hanno affondato la loro lettura e la loro mente dentro storie che, se da un lato erano cariche di ironia e di frammenti di esilarante comicità, non dimenticavano mai l’attualità, la miseria e la nobiltà dell’essere, le fragilità e le ingiustizie.

Se gli italiani che amano Montalbano avessero messo in atto anche solo un pizzico della sua umanità questo Paese sarebbe migliore. E invece non lo è. Perché è un Paese degradato, un Paese sulla cui involuzione Lei ci ha messo in allerta. Ma è anche il Paese di chi ha scelto di non arretrare, di non essere ossequioso nei confronti di ciò che è legge senza giustizia. In quest’ultimo tipo di Paese Lei ha mostrato di credere, fino alla fine. Perché in fondo anche Montalbano, che altro non è che il suo alter-ego, ci insegna che la giustizia e l’umanità vengono prima di tutto, prima delle forme, delle procedure, delle leggi stesse. Ho letto che la polizia le ha tributato un saluto di commiato, l’ha ringraziata per averne mostrato il lato umano. Chissà cosa ne penserebbe Lei. Chissà se gli ricorderebbe a suo modo le righe scritte nei suoi romanzi e lo sdegno del suo Montalbano davanti alle violenze delle forze dell’ordine a Genova, nel 2001, a quella macelleria umana che fu la Diaz.

Sa, Maestro, qui in tanti la stanno salutando, compresi i politici, anche quelli che la disprezzano ma che, per forma, sono costretti a dire qualcosa. Perché sono social e devono sfruttare gli hashtag. La salutano ma intanto lasciano che i loro fan, i loro scagnozzi da tastiera stuprino l’umana decenza. Lo so, a Lei non gliene frega niente. Lei ormai è andato via, ma ci ha lasciato un enorme patrimonio di conoscenza. Che tocca a noi non sprecare. Ci ha messo in allerta e lo ha fatto con il suo sapere, con l’onestà di un uomo che attraversato un’epoca di tensioni, guerre, ideologie, mutamenti rapidi. Se n’è andato via Maestro e lo sappiamo che è normale, naturale. Sappiamo che anche Lei se lo aspettava. Ma non cambia, non serve saperlo. Anche quando te lo aspetti, ci si sente sempre un po’ soli. Soprattutto in un momento come questo, avaro di intellettuali che prendono posizione.

Sa, Maestro, le confesso che non mi sento tanto bene se penso a questo luogo ameno in cui ci ha lasciati, ma ricordo anche che Lei ci ha chiesto di ripudiare il pessimismo e ha invitato i giovani a ribellarsi. Da cieco Lei ci vedeva benissimo, ma una speranza è sempre un grosso impegno da realizzare. E in mezzo a questa sbornia di commiati, saluti, addii e ricordi che leggo e ascolto in giro, è difficile capire su quanti possiamo realmente contare. Quanti sono davvero disposti ad andare oltre le sue parole, le sue meravigliose opere letterarie (Il re di Girgenti mi ha conquistato senza lasciarmi più), i suoi inviti rivolti al domani, le sue analisi su quanto accade in questa isola e in questo Paese. Non so quanti tra questi suoi ammiratori, affezionati lettori o simpatizzanti sappiano trasformare le sue opere piene di umanità e giustizia in esempi e quegli esempi in azioni concrete.

Perché alla fine è questo che ci manca Maestro ed è anche per questo che ci mancherà Lei.

Massimiliano Perna -ilmegafono.org