Sono passati 72 anni da quel maledetto 10 marzo 1948, giorno in cui la mafia uccideva Placido Rizzotto e quel bisogno di verità e giustizia, di libertà e lotta per i diritti che lo stesso incarnava. Quel giorno, infatti, il clan corleonese, con a capo il pericolosissimo boss Luciano Liggio, decise di far fuori un sindacalista coraggioso, uno dei personaggi più importanti della Sicilia dell’epoca, di quella parte che lottava per le terre e per i lavoratori, scontrandosi contro la mafia.

Se è vero che quelli erano anni di incertezza (il fuoco della seconda guerra mondiale era cessato soltanto 3 anni prima), di lenta ripresa e in un certo senso di rivalsa proprio nei confronti dei recenti tempi bui, la criminalità organizzata non perdeva certo occasione di far sentire alla comunità (soprattutto quella di un piccolo paese come Corleone) la propria presenza e la propria forza. Una criminalità organizzata che potremmo definire senz’altro più rozza e come sempre sanguinaria, forse meno presente tra le istituzioni pubbliche, finanziarie ed economiche come lo è oggi, ma con un DNA ed un modus operandi come sempre sanguinoso e violento. Erano gli anni delle lotte contadine, gli anni delle rivendicazioni, dei grandi sindacalisti, della spinta crescente dei partiti della sinistra. Erano gli anni nei quali soffiava ancora il vento del dolore e della rabbia per la strage di Portella della Ginestra.

Erano gli anni di una mafia che a Corleone procedeva e gettava le basi per quello che sarà un impero violento, stragista, feroce. A distanza di 72 anni, la situazione del nostro Paese è ovviamente cambiata, nel senso che sono cambiate le dinamiche mafiose, è cambiato il core business dei clan, l’infiltrazione mafiosa ha raggiunto dimensioni economiche e geografiche estese. L’antimafia invece sembra in crisi, colpita da problemi e da polemiche, da divisioni che non fanno bene. Ecco perché crediamo sia fondamentale ricordare un uomo forte e coraggioso come è stato Placido Rizzotto.

Placido Rizzotto non era soltanto un sindacalista e un uomo di sinistra. Era anche un partigiano che aveva lottato contro il nazifascismo e che aveva a cuore la libertà e la giustizia. Placido Rizzotto era un siciliano. Di quelli che hanno onorato questa terra bella e maledetta. Nel 1948, essere siciliani e credere nella legalità e nel bene comune, in certe aree, poteva rappresentare una vera e propria sentenza di morte e lo dimostrano le vicende di uomini e donne uccise per mano mafiosa, persone che, come lui, avevano tentato in tutti i modi di opporsi. Il sacrificio di Rizzotto e di tanti altri prima e dopo di lui ci ha lasciato degli insegnamenti che dobbiamo fare nostri e che bisogna assolutamente condividere, specialmente con i più giovani che rappresentano il futuro di questo Paese. Bisogna raccontare la storia e le idee di chi si è opposto, bisogno non commemorare ma fare esercizio di memoria attraverso gli esempi e i comportamenti che da essi discendono.

Gli uomini come Rizzotto sono patrimonio della storia della lotta alla mafia, ci insegnano ancora, 72 anni dopo, che bisogna amare la propria terra e combattere ancora per renderla più bella, più pulita, più giusta. Per inseguire quel fresco profumo di libertà di cui parlava il giudice Borsellino. Questo è l’insegnamento che ci resta più caro, l’eredità di cui disponiamo. Dobbiamo evitare di sprecarla, dobbiamo evitare di tornare al silenzio. Dobbiamo continuare a parlare, raccontare e soprattutto agire, per non vanificare quanto fatto da persone come Rizzotto.

Giovanni Dato -ilmegafono.org