Il pensiero illuminista considerava la politica come uno strumento al servizio dell’uomo e dei suoi diritti. Questa idea, osservare e conoscere per cambiare e migliorare la società, era l’opposto della politica intesa come strumento di offesa e difesa di privilegi e territori. Il concetto di Stato, organizzazione politica che agisce tramite le sue istituzioni e le sue leggi su un territorio e sulla sua popolazione, così come oggi si è concretizzato non presenta nessuna traccia di quell’idea di politica al servizio dell’uomo e nessuna traccia della volontà di conoscere e capire per migliorare la società. Quell’idea che in passato aveva pur dato segnali di vita si è persa lungo la strada. Lo Stato e la politica camminano l’uno accanto all’altra ma, nel caso specifico del Paese Italia, è un abbraccio che oggi umilia non solo il pensiero illuminista ma qualunque idea di società civile. Stato e politica, impossibile distinguere il braccio dalla mente e forse non è nemmeno necessario perché quello che è facile vedere è come siano indispensabili l’uno all’altra, come si sorreggano a vicenda in quel mutuo soccorso che serve ad entrambi.

C’è un terzo protagonista che non può non essere coinvolto: il cittadino. E qui il nodo da sciogliere è davvero intricato, costringe a guardare in quello specchio che rifiutiamo di guardare perché ci spaventa: uno specchio riflette, mette a nudo. In quel riflesso ci sono il nostro viso e la nostra coscienza, le nostre scelte, e scegliere significa tanto, significa tutto. È la linea di confine su cui ci fermiamo prima di decidere quale strada prendere. Tiziano Terzani scriveva che “quando sei a un bivio e trovi una strada che va in su e una che va in giù, piglia quella che va in su. È più facile andare in discesa, ma alla fine ti trovi in un buco. A salire c’è più speranza. È difficile, è un altro modo di vedere le cose, è una sfida, ti tiene all’erta”. C’è stato un tempo in cui i cittadini italiani hanno scelto la strada in salita, accettando la sfida di vedere le cose in un altro modo. Non è stata una scelta condivisa da tutti, ma di una parte comunque così forte e coraggiosa da permettere al Paese di uscire da quel buco della storia in cui era caduto.

Per camminare su quella strada in salita servivano coraggio, fiducia e passione, bisognava credere in quell’idea che la società poteva e doveva cambiare. Il prezzo pagato è stato alto, ma quella scelta era giusta. Una volta usciti dal buco della storia per un attimo è sembrato davvero che la politica e lo Stato, la libertà e i diritti potessero camminare insieme e costruire una casa sicura, migliore e più viva. Per un attimo, appunto. Perché con il tempo le cose cambiano, si torna a scegliere la strada in discesa. Quella in salita viene lasciata ai pochi che capiscono che la salita deve continuare, che c’è sempre qualcosa da capire e conoscere, conquistare e consolidare. Il tempo ha alimentato invece la convinzione che il compito di salire spettava a poche avanguardie, ad altri, ma gli altri sono sempre meno perché il tempo li aspetta al varco e li consuma.

La storia scava nuovamente il suo buco e, lentamente ma progressivamente, inghiotte il pensiero e la vita delle persone. Un giorno alla volta i cittadini di questo Paese hanno ceduto un metro di terreno alla paura e all’indifferenza, un giorno alla volta hanno creduto che ogni problema fosse una colpa da attribuire a chi dalla vita ha solo avuto rifiuti. Questo è il Paese che ha subito, e in gran parte accettato, la sacra alleanza fra la politica e i poteri occulti: servizi segreti, massoneria, mafia. Questo è il Paese che ha permesso ad una classe dirigente corrotta e volgare di arrivare ai vertici dello Stato. È il Paese che da una parte chiede la verità su decenni di stragi di Stato e da una parte tace, complice e silente. Quella parte, complice e silente, oggi ha legittimato il potere di una classe politica e dirigente che riporta l’Italia indietro di un secolo. Ecco perché è impossibile distinguere il braccio dalla mente. L’assenza dello Stato non è un caso e non è da oggi. Lo Stato è assente da sempre in questo Paese dei Gattopardi, è assente perché la politica e lo Stato sono diventate una cosa sola, un connubio che si autoalimenta: la politica legittimata dal voto dei cittadini nomina i vertici dello Stato e delle istituzioni, che assolvono il compito chiesto da quella politica.

Troppo spesso si accusa la politica di essere lontana dai bisogni reali del Paese, ma siamo così sicuri che il compito chiesto dalla politica sia lontano da quello che chiedono gli elettori? Due dati dovrebbero aiutare a dissipare i dubbi: il primo dato è relativo all’astensionismo ed è un dato amaro, che dimostra come sia caduta in basso la credibilità della politica. Il secondo dato riguarda la scelta di chi, con il proprio voto, legittima quella classe politica che ha divorato ogni lembo di questo Paese. La fotografia, se possibile, è ancora più amara. Ecco allora che il connubio Stato-politica diventa il vero padrone del territorio e delle coscienze. Un connubio che si avvale di tutti gli strumenti di cui dispone. Uno di questi strumenti, potente e insinuante, è l’informazione. Tutti i poteri, tutti i regimi conoscono l’importanza di un’informazione amica. Nell’Italia del ventennio fascista Il ministero della Cultura popolare si occupava del controllo e della diffusione della cultura del governo, della cultura e dell’organizzazione della propaganda fascista.

Oggi non esiste un ministero con questo compito, la “libertà di stampa” è garantita dalla Costituzione e dalle leggi, esistono tutte le condizioni che consentono all’informazione di non subire il controllo dello Stato, ma quell’informazione è incapace, nella sostanza e nella realtà dei fatti, di svolgere il compito che gli appartiene. Per incapacità, per scelta opportunistica, per costrizione? Sono tante le spiegazioni: da una parte le mani dei grandi centri di potere sull’editoria e il patto scellerato – e condiviso da tutti i partiti politici – di controllo e spartizione dei vertici dell’informazione pubblica, sono le mani sul collo che possono soffocare ogni principio di indipendenza, ma non sufficienti a spiegare il buco nero in cui è caduta l’informazione in questo Paese. Esiste un Ordine dei Giornalisti, ente pubblico fondato nel 1963, che rappresenta e tutela la categoria. Esiste un codice deontologico per tutti gli scritti all’Albo dei giornalisti – l’iscrizione è obbligatoria per poter esercitare la professione – che in linea puramente teorica ogni giornalista deve rispettare ma che troppo spesso viene calpestato.

Oggi è facile leggere giornali dove l’insulto e la volgarità, la distorsione della realtà, sono in prima pagina. Nessun provvedimento viene preso dall’Ordine, si preferisce il silenzio. Dati falsi, informazioni fuorvianti diventano così una verità sbattuta in faccia all’opinione pubblica che assorbe. Notizie non date o messe in ultimo piano perché scomode, un generale senso di accondiscendenza verso il potere di turno, umiliano il concetto di giornalismo e di informazione. A farsi carico del compito restano i pochi che credono ancora nel valore del racconto onesto degli eventi e della storia, e quasi sempre svolgono questo compito fra mille difficoltà e mille ostacoli. Questa fotografia della società e del Paese Italia può non piacere, ma risponde all’attuale situazione. C’è un Paese che scivola sempre più in basso, ci sono uno Stato sempre più assente e una politica sempre più lontana dai bisogni reali e dal bene comune. Ma lo Stato è politica, e la politica è il risultato delle scelte dei cittadini.

Lampedusa ci racconta della passerella volgare dei vertici dello Stato di fronte al dramma dei migranti, mentre mille chilometri più in alto, a Pontida, si consuma l’insulto alla dignità e alla solidarietà umana. Sono solo gli ultimi esempi, in ordine di tempo, rispetto ai quali un’intera comunità civile e consapevole dovrebbe insorgere, per spazzare via quell’odore osceno di regime. Ma la maggioranza di questa comunità non è né civile né consapevole dei rischi che sta correndo. La maggioranza di questa comunità ha scelto di non guardarsi allo specchio, scivola sempre più in basso e lascia ad altri il compito di indignarsi, di lottare e di combattere per un’idea di società diversa e migliore. È già accaduto, tanto tempo fa. Poi, dopo un ventennio, qualcuno è riuscito a sollevare un Paese intero da quel buco della storia in cui era caduto. Il prezzo pagato è stato alto, forse vano, e forse bisogna ammettere che il Paese di oggi non è degno di quel prezzo pagato e di quel sacrificio.

Maurizio Anelli -ilmegafono.org