Thomas Habinek, recentemente scomparso, sosteneva che una abilità politica di Alcibiade consistesse nel mutare atteggiamento in base agli interlocutori che aveva davanti, di volta in volta, e che lo facesse per essere amato costantemente dalle platee. In effetti ebbe successo, fu capace di spostare masse, di farsi osannare. Le parole di Senofonte, però, in qualche modo ancora oggi lo inchiodano: lo descrive, fra gli altri in confidenza con Socrate, come “il più sfrenato, il più arrogante e il più violento tra quelli impegnati in democrazia”. Non per niente Alcibiade viene ricordato, a quasi duemilacinquecento anni di distanza, come una vera e propria banderuola ai primi venti che scuotevano l’albero della democrazia: passò di partito in partito, servì Atene contro Sparta, poi Sparta contro Atene, poi la Persia, poi ancora Atene, poi volle provare ancora con la Persia. E in mezzo a tutto questo un intricato groviglio di menzogne, bugie spesso usate per assoggettare intere città, imbastendo negoziati per farle cadere.

Ora: non è che io sia questo storico raffinato al punto da dissertare quotidianamente su Habinek e i suoi insegnamenti alla University of Southern California, ma qualche retaggio classico m’è rimasto, e di Alcibiade conservo ricordi perché fu un personaggio da ricordare. La capacità di modellare le parole sugli interlocutori, rimanendo gelido dentro sé stesso, fedele solo all’obbiettivo personale, ha sempre esercitato un fascino tetro.

La bugia è un mezzo potentissimo. Saperla rendere efficace al punto di spostare masse di pensiero è un dono mostruoso. Zoe Change, una studiosa della Harvard Business School nota per l’impegno nella ricerca sulle strategie di influenza, sostiene che chi mente in qualche modo si nutre delle sue stesse menzogne, al punto da divenire quasi un tutt’uno con queste, convincendosi di essere, grazie a loro, migliore di quello che realmente è, capace di andare oltre i propri limiti. Inganna sé stesso così bene, alla fine, da ingannare gli altri con sbalorditiva facilità. Ed è pacifico che chi mente in maniera seriale spesso si trova in una spirale tale da essere costretto a farlo così tante volte da non avere quasi il tempo di calcolare le conseguenze. Non lo dico io, lo dice uno psicologo di Amsterdam, Shaul Shalvi, ma mi pareva abbastanza ovvio da poterlo dire come fosse una legge della natura.

Ecco: Habinek, Alcibiade, Change, Shalvi e il mondo delle menzogne, il mondo delle bugie così potenti da influenzare le masse, per parlare di Matteo Salvini. In questi giorni il ministro dell’Interno ha detto (faccio un supersunto per evitare righe e righe di cronaca, ma è facilmente consultabile) che lui Savoini non l’ha mai invitato a quelle riunioni in Russia, che non sapeva che ci facesse là, che quella sua associazione “Lombardia-Russia” con la Lega non c’entra, e via dicendo. Le immagini e gli audio diffusi a una manciata di giri d’orologio dai “non so” del vicepremier, però, lo smentiscono in maniera quantomeno imbarazzante, ma questa notizia che dovrebbe essere una vera e propria bomba in contesto asettico, nel mondo delle comunicazioni social messo in piedi da Salvini è deflagrata senza urtare minimamente i timpani. Una scoreggia dentro la bora.

Da quando cavalca l’onda del successo elettorale Matteo Salvini ha dichiarato tutto e il contrario di tutto, fedele a un solo, unico credo: spalleggiare una massa circoscritta individuando il nemico comune più vicino. È partito dalla Lombardia, allargandosi poi al Nord, contro “quel ladro dello Stato italiano”, ricordando ai suoi che disubbidire alle leggi è giusto se ritieni che le leggi siano ingiuste, e oggi, da ministro in quello Stato “ladro” nel quale il nemico non è più chi non sta al Nord, ma chi non sta nell’intero Stato, ricorda sorridendo che “chi disubbidisce va in galera”. Dichiarava odio per i “fannulloni del Sud”, cantando che i napoletani puzzano, e oggi, in una perenne campagna elettorale, va in giro in Calabria e a Napoli con le felpe “Calabria” e “Napoli”.

Ci sono lunghi elenchi sul web del “prima” e del “dopo” in merito alle dichiarazioni del nostro ministro dell’Interno, dichiarazioni che dimostrano in maniera inequivocabile come il suo consenso sia cresciuto offrendo di volta in volta a interlocutori diversi verità diverse. È arrivato a cambiare così spesso opinione, a modificare così tante volte la sua verità (rendendo quindi l’intera sfaccettatura delle sue verità una menzogna) da ingannare gli altri con sbalorditiva facilità. Mostrando che Zoe Change, quindi, ha assolutamente ragione. Perché oggi se contesti il modus operandi di Salvini ad uno dei suoi elettori, novanta volte sul cento la risposta sarà “ma non è forse libero di cambiare idea?”. L’affaire Savoini, poi, da pure ragione allo psicologo Shalvi: è andato così oltre da non riuscire ad avere il tempo di calcolare le conseguenze delle sue parole. Perché avrebbe dovuto aspettarsi le foto di Savoini al suo stesso tavolo durante la riunione in Russia, eppure ha comunque detto di non saperne nulla. Siamo al momento, forse, in cui la difficoltà di gestione dei fatti che deve far stare in piedi è salita. Ma è così perché è il suo potere ad essere salito, ad essere cresciuto. Nell’ottica che salga ancora.

Alcibiade si consegnò alla storia mentre per l’ennesima volta cambiava casacca, andando ad est, nei territori che oggi confinano con la Russia: lì avrebbe ancora usato la sua abilità politica, ma non ci arrivò, fecero in modo che non ci arrivasse. E creò talmente tanta confusione coi suoi trascorsi partitici che oggi la storia non sa bene a chi affibbiare l’etichetta di mandante.

Seba Ambra -ilmegafono.org