Lo chiamavano il “sindaco pescatore” perché amava il mare ed era più facile trovarlo al porto che nel suo ufficio in municipio, ma il suo vero nome era Angelo Vassallo. Era stato eletto sindaco di Pollina, in provincia di Salerno, per ben tre mandati, dal 1999 fino al suo assassinio nel 2010. La sera del 5 settembre di quell’anno, infatti, Angelo Vassallo fu ucciso con nove colpi di pistola mentre percorreva la strada per tornare a casa. Il suo corpo senza vita fu rinvenuto il mattino successivo, ancora all’interno dell’abitacolo dell’auto che conduceva. Nonostante i 12 anni passati da quella dannata sera, nonostante il carattere decisamente cruento della sua “esecuzione” questo assassinio è a tutt’oggi impunito. Da subito si è pensato che fosse un attentato di matrice camorristica, associandolo alle innumerevoli lotte ambientali portate avanti dal sindaco o alla possibilità che avesse scoperto un traffico di stupefacenti.

Questa seconda ipotesi era sembrata subito plausibile, per via di una frase che lo stesso Vassallo aveva detto pochi giorni prima di morire al suo buon amico Domenico Vaccaro, allora consigliere comunale. “Ho visto e sono venuto a conoscenza di cose che sarebbe stato meglio non sapere e non vedere – gli avrebbe confidato il sindaco – vogliono portare la camorra nel Cilento ed io farò di tutto perché ciò non avvenga, ho paura che mi fanno fuori”. Il sindaco avrebbe continuato lo sfogo con l’amico raccontandogli degli enormi sforzi fatti per preservare la propria sicurezza: “Torno a casa sempre prima di mezzanotte, non faccio mai le stesse strade e non mi fermo con chiunque incontro per strada, anche se è un amico”. Sforzi che purtroppo si sono rivelati insufficienti. Le indagini sull’attentato sono state molto lente, a tratti lacunose, come hanno spesso denunciato i due fratelli della vittima, Dario e Massimo Vassallo.

“Siamo stati derisi negli anni – hanno dichiarato – per le nostre ricostruzioni a fronte di prove inquinate dai continui depistaggi istituzionali fin dal primo giorno”. “Sono coinvolti uomini delle istituzioni – hanno aggiunto i due fratelli Vassallo – e la scena dell’omicidio è stata inquinata”. In effetti, da recenti indagini, è emerso un coinvolgimento di alcuni membri corrotti delle istituzioni: tra i nove indagati per l’omicidio, figurano infatti tre carabinieri: il tenente colonnello Fabio Cagnazzo, l’ex brigadiere Lazzaro Cioffi, l’ex attendente Luigi Molaro che, secondo la Dda di Salerno, sarebbero anche i responsabili del depistaggio delle indagini. Insieme a loro figurano tra gli indagati anche alcuni presunti componenti del clan scafatese Loreto-Ridosso.

A giudizio degli inquirenti, Angelo Vassallo, venuto a conoscenza di un traffico di stupefacenti che aveva per nodo focale il porto di Acciaroli e non fidandosi del presidio locale dei carabinieri, aveva affidato le indagini ed i relativi appostamenti alla polizia municipale. Questo suo interesse e il rischio che potesse compromettere il giro d’affari del clan locale costituirebbero il movente per l’omicidio. Proprio in questi giorni si stanno svolgendo degli importanti accertamenti tecnici irripetibili su un dispositivo Nokia sequestrato ad uno degli indagati, nella speranza di reperire informazioni utili circa l’organizzazione dell’attentato o delle successive opere di depistaggio. Secondo i due fratelli Vassallo, che in questi anni non si sono mai rassegnati, “il cerchio si stringe e siamo sempre più vicini alla verità”, una verità troppo a lungo negata ma doverosa perché, come dicono Dario e Massimo, loro fratello Angelo “era un uomo dello Stato, lasciato solo nel contrasto all’illegalità”.

Anna Serrapelle -ilmegafono.org