La fotografia come denuncia, cruda, drammaticamente tangibile in tutto l’orrore che contiene, un orrore al quale qualcuno si era tristemente assuefatto. È la concezione alla base della mostra “Macelleria Palermo”, inaugurata il 24 giugno scorso nel capoluogo siciliano, a Palazzo Naselli, in via del Fervore 15, e visitabile fino al 22 luglio (dalle ore 16.30 alle ore 19.30). L’esposizione contiene gli scatti di Franco Lannino e Michele Naccari, fotoreporter che, con l’agenzia Publifoto e poi con studio Camera, hanno immortalato il sangue della mattanza mafiosa degli anni ‘80. Scatti che sono passati dall’Ansa e dai quotidiani più importanti come L’Ora, Repubblica, La Sicilia, ecc. Fotografie che, nella nostra epoca di filtri e correzioni computerizzate, scelgono di raccontare senza filtri un tempo in cui il sangue e la violenza scorrevano quotidianamente tra le strade di Palermo e della sua provincia.

Era il tempo della feroce e lunga guerra scatenata dai corleonesi contro la mafia palermitana e contro lo Stato e culminata, in Sicilia, con le stragi di Capaci e via D’Amelio nel 1992. “Macelleria Palermo” è una mostra autoprodotta, volutamente priva di sponsor e senza patrocini, una full immersion terribile dentro quella violenza, uno schiaffo in faccia, un pugno allo stomaco e, soprattutto, un grido di denuncia verso chi è rimasto indifferente o chi è stato complice di quel sangue. Con le loro foto Naccari e Lannino costringono Palermo a fare i conti con l’atteggiamento di molti suoi cittadini, un atteggiamento che ha favorito e circondato quei morti ammazzati. L’isolamento, l’indifferenza, l’ostilità verso chi combatteva contro un sistema criminale e affaristico che teneva le mani, sporche di sangue, ben salde sulla città.

Da Palermo, però, la denuncia di “Macelleria Palermo” arriva ovunque, mettendo davanti agli occhi di chi visita la mostra il risultato finale delle connivenze con la mafia e della vigliaccheria di chi ha scelto di girarsi dall’altra parte. È un lavoro di memoria, per chi non ha vissuto quegli anni, ma è anche e soprattutto un indice puntato su chi ha consentito quella mattanza. Tra le foto ci sono gli scenari sanguinosi degli omicidi di mafia, delle vendette trasversali, delle punizioni, i corpi delle vittime di mafia, di uomini come Libero Grassi, al quale Palermo voltò le spalle, ci sono ovviamente le immagini apocalittiche di Capaci e via d’Amelio, ferite profonde dentro una terra e uno Stato che ancora non è capace di far emergere la verità sui mandanti e sui complici delle stragi. Quello di Franco Lannino e Michele Naccari è un viaggio per immagini dentro la pelle di un Paese che troppo spesso dimentica. È un racconto durissimo che nasce per far sapere a chi non sa nulla di come era realmente la vita di Palermo in quegli anni.

Una testimonianza diretta di una realtà che spezza la retorica di chi vuole far credere alle nuove generazioni che quelli che oggi sono definiti eroi, all’epoca erano amati e sostenuti dalla gente. Gli scatti di “Macelleria Palermo”, infatti, mettono in tragica evidenza il momento culminante di un isolamento ostile che ha attraversato le vite di chi è caduto nella lotta alla mafia. Non è una mostra semplice, non ha la morbidezza di un filtro e di una narrazione parziale o, peggio ancora, edulcorata. Non potrebbe esserlo, perché nel dolore e nella ferita che cosa nostra ha prodotto non ci può essere nulla di filtrato o morbido. Sono le 44 foto esposte a dircelo e lo fanno con schiettezza, scioccando chi osserva e, dunque, costringendolo inevitabilmente a pensare e a concentrarsi sulla verità. Perché solo guardando in faccia la verità, si può costruire memoria. La storia, d’altra parte, ce lo ha insegnato in più occasioni, sia con le parole che con le immagini.

Redazione -ilmegafono.org