Quando due anni fa, nelle sale arrivò “Joker”, il film di Todd Phillips che racconta l’ascesa del famigerato nemico di Batman, che da aspirante clown si trasforma in spietato assassino, furono tanti i commenti sulla psicologia e sulla simbolicità del personaggio interpretato magistralmente da Joaquin Phoenix. Tra questi, ce ne fu uno particolarmente calzante, quello del grande regista Quentin Tarantino: “La cosa profonda è questa: non è solo suspense, non è solo affascinante ed eccitante, il regista capovolge il pubblico, perché il Joker è un matto del cazzo, e il personaggio di Robert De Niro nel talk show non è il tipico cattivo di un film. Sembra uno stronzo, ma non è più stronzo di David Letterman. Non merita di morire. È solo uno stronzo spiritosone da talk show. Eppure, mentre gli spettatori guardano il Joker, vogliono che uccida Robert De Niro. Vogliono che tiri fuori quella pistola, gliela ficchi nell’occhio e gli faccia saltare quella cazzo di testa. E se il Joker non l’avesse ucciso? Ti saresti incazzato. Questa è sovversione ai massimi livelli! Spingono il pubblico a pensare come un fottuto lunatico, a volere quello che non vorrebbe. Lo spingono a mentire: ‘No, non deve succedere!’… E invece è una cazzo di bugia, eccome se lo vuole!”.

Proprio così, il pubblico alla fine empatizza inconsciamente con quel personaggio, che è lo stesso odiato e folle criminale che, leggendo o guardando Batman (laddove Joker è un cattivissimo Jack Nicholson), non vedi l’ora che venga fermato e spazzato via. Nella versione di Phillips, invece, è un giovane che aspira al successo per riscattare una vita infima, misera, priva di gioie e piena di esclusioni, discriminazioni, angherie. Un fallito, un uomo che vorrebbe far ridere, che cerca gioia per spazzare il grigiore della società, non solo quella che lo circonda, non solo quella dei suoi dintorni, ma tutta la società, il nostro mondo, la nostra epoca. Un fallito che cova una rabbia che a un certo punto esplode e si trasforma in senso di potere. Joker scopre di contare e lo scopre uccidendo, vendicandosi di chi lo ha deriso, tradito, di chi non ha mai avuto una parola gentile per lui. E il pubblico, che in questa versione conosce il fallimento umano del personaggio, respirando il senso di ingiustizia, finisce per questo a comprenderne la rabbia. Che è di un pezzo di società scartata e non solo di quell’uomo.

Non è intenzione di chi scrive fare una recensione o una scheda psichica di Joker, ma sicuramente il cinema, come e forse più di tutte le altre arti, ci racconta il mondo in cui viviamo, ci aiuta a riconoscerlo. Joker è un pezzo di mondo, è l’emarginazione, non solo fisica, il sopruso, la tensione rabbiosa che non sfoga e che, d’improvviso, esplode diventando contagiosa. Le piazze di Gotham si riempiono di chi in quel clown vede se stesso, rinchiuso nei bassifondi delle frustrazioni incrostate. Mentre lì in alto, a comandare e decidere vi è l’altro Joker, l’altra sua versione, quella criminale e sadica. Di questa ultima versione, il mondo reale ne è pieno. Sono tanti i clown divenuti leader potenti e capi di Stato, portandosi dietro le loro idee violente, la loro spietata disumanità contro tutto ciò che non reputano parte del loro mondo, di quel camerino dentro il quale riempiono di cerone e trucchi il proprio volto e i residui della loro anima degradata.

Sono sui palchi e negli scranni di governo a dipingere un sorriso con il sangue, dinnanzi ai loro sostenitori che l’odore di quel sangue lo amano, reclamando violenza e durezza, chiedendo che non vi sia alcuna pietà verso i nemici designati. Chi empatizza con questo tipo di Joker, però, non è lo spettatore maturo che ne conosce la versione umana di Phoenix e la comprende solo dentro lo spazio di un film, ma è l’elettore conservatore o populista, intollerante e impietoso, che vuole fermezza e giustizia sommaria nella vita reale. Così, i Joker moderni, quelli esistenti, di carne e ossa, eccitano le folle con quella violenza, con i cannoni d’acqua contro dei disperati in fuga dalla guerra o dal terrore, con i muri, con la persecuzione degli oppositori, con gli omicidi di esponenti delle minoranze o di attivisti per l’ambiente, con le esecuzioni di chi ha un orientamento sessuale diverso da quello che il Joker di turno stabilisce essere l’unico consentito. Da Bolsonaro a Duterte, da Moriawecki a Orban, da Erdogan a Putin, da Rouhani a Lukashenko, da Trump ad Al Sisi e tanti e tanti altri.

Joker che hanno scelto di far diventare la loro crudeltà un merito, la loro durezza un elemento di stima in un’epoca dove la cattiveria è un valore, mentre la fragilità, la bontà, la solidarietà sono oltraggi o addirittura comportamenti da punire con la legge e gli arresti. I Joker non sono solo capi di Stato o di governo, c’è del Joker anche in esponenti politici vari che pompano sull’odio, che ostentano una sfacciata ignoranza. Sono mescolatori di fango, sono faccioni dal ghigno inquietante, sono uomini e donne che urlano contro l’ultimo, a volte indossando abiti apparentemente normali, a volte no. Sono clown incattiviti per sopravvivere al nulla anonimo della loro coscienza. Sono continuamente alla ricerca della battuta ad effetto, sono poveri di cultura e di conoscenza, incapaci di ironia, ma scelgono la violenza delle parole e delle idee, che sono le armi con le quali scalano il potere.

Ne abbiamo tanti anche in Italia, sono sovranisti, sono leader di partito, sono goffi replicanti di un pensiero medievale che rimane incollato, con il sudore acido, sui loro papillon da clown. Sono agitatori di piazze animate da complotti e ignoranza, sono propagatori di fake news, sono ex comici in declino o ex pugili omofobi e filofascisti, sono giornalisti, opinionisti da talk show, sono anche ex boy scout che accettano di lavorare e di essere pagati dai rappresentanti di regimi sanguinari. Non è un caso che le piazze, in questi mesi bui, siano diventate il luogo di espressione dei seguaci dei tanti Joker disseminati in Italia e non solo. Sono piazze dissalate, nelle quali manca il gusto della verità, mentre abbonda il disgusto del qualunquismo, dell’omofobia, dell’ignoranza, della retorica estremista. Sono piazze di chi non ha mai creduto nella democrazia, di chi non ha mai fatto nulla per fermare l’emarginazione, le discriminazioni, le ingiustizie.

Tutte cose che rimangono sommerse dall’oblio di un mondo che ha sempre qualcos’altro di meglio di cui occuparsi. Tutte cose che rimangono rinchiuse nelle periferie del quotidiano, fisicamente e intimamente, generando le ferite che questa società non riesce a curare, ma sulle quali al massimo mette una pezza, attraverso l’opera di donne e uomini di buona volontà che credono ancora nell’altro e nella solidarietà. Nel silenzio inerte di quelle periferie globali, però, non c’è odio, perché se ci fosse odio ci sarebbe rivolta, vera, concreta, motivata. In quel silenzio, piuttosto, c’è la rassegnazione di chi si riconosce nella miseria del Joker di Phillips ed empatizza stranamente con la sua follia rabbiosa che uccide chi lo umilia.

Una identificazione sovversiva, per dirla con Tarantino, che per fortuna non viene quasi mai emulata nei fatti, ma che spesso si sposta sul piano della scelta politica, dell’assuefazione al potere e dell’orientamento verso un modello di società sempre più chiusa che, come la danza impazzita del clown, si muove agilmente all’indietro. In troppi, purtroppo, guardano il sorriso di Joker, in pochi si accorgono che è disegnato col sangue.

Massimiliano Perna -ilmegafono.org