Per i Carabinieri di Delianuova (RC), quella che doveva essere una perquisizione a seguito di un’inchiesta sullo spaccio di stupefacenti e di droga di vario genere si è rivelata a tutti gli effetti una sorpresa sconcertante. Qualche settimana fa, infatti, i Carabinieri del comune reggino, in collaborazione con lo Squadrone Cacciatori “Calabria”, avevano rinvenuto ben 730 piante di marijuana coltivate in un terreno pubblico. A seguito della scoperta, gli stessi inquirenti avevano poi provveduto alla perquisizione delle abitazioni di quelli che con ogni probabilità dovevano essere i responsabili della piantagione. Durante la perquisizione, però, è emerso qualcosa di ben più sorprendente: la presenza di oltre 200 carcasse di ghiri (meticolosamente conservate all’interno di un congelatore) e di altrettanti animali ancora vivi, chiusi in delle gabbie e pronti, probabilmente, ad essere venduti o uccisi.

Quella della caccia ai ghiri è una problematica annosa, soprattutto per un vasto territorio come quello calabrese, che include non solo le aree intorno all’Aspromonte, ma che arriva sino alle alture della Sila. Inoltre, si tratta di un macabro esempio di un folklore “malato” che neppure le multe né una legge che vieta la caccia di questa specie protetta sono riuscite ad interrompere e cancellare. Ma che cosa ci facevano quei poveri animali nelle abitazioni di tre persone indagate per droga?

Stando a diverse indagini svolte anche in passato dagli inquirenti calabresi, pare che il ghiro sia a tutti gli effetti uno dei piatti più richiesti nella cucina delle ‘ndrine, oltre ad essere parte integrante di una tradizione che poco ha a che fare con l’etica (ed ovviamente con la legalità).
Il ghiro viene infatti servito, come segno di pace, durante le “mangiate” mafiose, dove due o più cosche si riuniscono per riappacificarsi e per promettersi rispetto reciproco. Oppure in occasione di eventi importanti, quali la riorganizzazione di un clan, una riunione in presenza del boss o, addirittura, la pianificazione di un omicidio.

Insomma, un animale che non può che destare simpatia agli occhi di una persona qualunque, in Calabria (e soprattutto in certi ambienti) si trasforma in una aberrante pietanza culinaria. Il problema, purtroppo, non si limita soltanto alle cosche mafiose o a una realtà prettamente criminale: la caccia ai ghiri, infatti, vede protagonista anche la semplice gente del posto, gente che nulla a che vedere con la mafia, ma che è altrettanto legata alle tradizioni da non riuscire a comprendere la gravità di un’azione tanto assurda. Ovviamente la mafia, da organizzazione che vive e si nutre di folklore, riti e tradizioni, non è da meno e, forte di un’altezzosità impareggiabile (oltre che di una libertà di movimento preoccupante), è riuscita a fare di un semplice animale un simbolo importantissimo, un marchio di fedeltà e onore, alimentando un mercato illegale e terrificante.

Che la criminalità organizzata fosse fatta di persone prive di ogni scrupolo, di gente pronta a uccidere pur di comandare e di tante altre “bruttezze” proprie dell’essere umano è cosa ben nota a tutti. Forse l’ingenuità sta proprio nel sorprendersi dinnanzi a notizie del genere: laddove persino il pensiero più macabro di una persona “civile” fatica ad arrivare, un mafioso ci ha già piantato le basi da diverso tempo.

Giovanni Dato -ilmegafono.org