Due anni e 730 giorni di lotta e di dignità, di coraggio. Poi, in un giorno di luglio, un gruppo di operai del Collettivo di fabbrica dell’ex Gkn di Campi Bisenzio sale sulla torre di San Niccolò a Firenze. Sono in quattro lassù, ma sotto quella torre ci sono i loro compagni e non solo: c’è quella fetta di umanità che in questi 730 giorni ha scelto essere accanto a chi ha deciso di lottare per difendere quello che resta di una fabbrica che i padroni di sempre hanno deciso che deve morire. Su uno striscione c’è una scritta: “Scusa Firenze – Questa lotta è di tutti e per tutti”. È il punto esclamativo di una storia che racconta una lotta impari: l’odore dei soldi e del profitto ad ogni costo, che attira avvoltoi e sciacalli, contro il valore di una lotta per il posto di lavoro, il profumo della dignità e della solidarietà di classe, portati in alto da un gruppo di donne e uomini che in questi due anni hanno insegnato, ad un Paese che non c’è, che chi lotta non potrà mai cadere.

730 giorni di dignità e fatica, lacrime e orgoglio, giorni di abbracci e solidarietà che non risolvono il problema, ma aiutano a credere che una lotta ha un senso anche quando tutto sembra finito. La storia della fabbrica di Campi Bisenzio è l’ennesimo capitolo del vergognoso libro scritto negli ultimi decenni dal settore industriale italiano: fabbriche che chiudono e licenziano dopo aver ingrassato i propri conti passando di mano in mano, da un padrone a fondi di investimento nascosti nelle scatole cinesi dove è impossibile capire chi sia il vero padrone. È in questo vortice che la fabbrica, nel 2018, passa dalla GKN al fondo finanziario Melrose che, dopo aver realizzato profitti altissimi per i suoi manager, decide nel luglio del 2021 di chiudere la porta al futuro. Da quel mese di luglio di due anni fa si è fatto avanti un altro “padrone”, Francesco Borgomeo, nome illustre: figlio dell’ex segretario confederale della CISL, Luca Borgomeo, e nipote di padre Pasquale Borgomeo, storico direttore gesuita di Radio Vaticana.

Francesco Borgomeo è considerato un esperto di riconversioni e nel mese di marzo del 2022 dichiarava al Corriere della Sera:  “Non chiamatela più Gkn, oggi è Qf. È un’altra cosa e un’altra storia […] Sono passati da poco due mesi dall’acquisizione, ma un mese dopo c’è stato l’accordo quadro, un altro passaggio importantissimo, al tavolo istituzionale con il ministero dello Sviluppo economico, quello del Lavoro, Invitalia, Regione, Città metropolitana di Firenze, comuni di Campi Bisenzio e Firenze, sindacati nazionali e territoriali, la Rsu Gkn, e la nostra direzione aziendale. L’accordo prevedeva un cronoprogramma, lo stiamo rispettando. A fine marzo avremo il disegno completo e i soggetti che parteciperanno alla riconversione industriale cui abbiamo pensato, cioè quella per la produzione di macchinari per l’industria […] A fine marzo potremo comunicare la Newco per lo stabilimento di Campi e il piano industriale definito. Credo nell’ascolto, lo pratico e ascolto molto gli operai, che hanno tanta esperienza e danno tanti stimoli per far crescere il progetto su cui sto lavorando. È un dialogo costruttivo e anche per il piano industriale coinvolgerò loro e la loro professionalità”.

Non è andata così. L’imprenditore esperto di riconversioni, salutato da molti come il salvatore della GKN, ha costruito il suo bluff sulla pelle dei lavoratori e nel totale e indegno silenzio di governo e parlamento. Mentre la narrazione dominante in questo Paese costruiva l’immagine di una fabbrica salvata e di nuovo produttiva, la realtà era uno stabilimento fermo e lavoratori in cassa integrazione. Nei primi mesi del 2023, la svolta: dopo le promesse, mai mantenute, di un impegno e di un rilancio, Francesco Borgomeo individua nei suoi dipendenti i veri responsabili del fallimento dell’operazione di rilancio. È il suo saluto finale, dopo mesi di promesse illusorie, di totale assenza e disinteresse. A chi chiedeva informazioni sulla sorte dell’azienda e sulla possibilità di accedere ad ammortizzatori sociali, rispondeva con freddezza e distacco: “Non ho più responsabilità, riguarda la liquidazione della società e quindi i professionisti che seguono la procedura, non più me”.

Ecco, allora, che la storia della GKN appare in tutta la sua realtà: una prova di forza fra chi prima sottoscrive l’impegno per la rinascita di un sito produttivo e poi sceglie la fuga vigliacca, e centinaia di lavoratori rimasti a difendere il posto di lavoro e la loro dignità, senza nessun salario da mesi. La partita non è ancora finita: la vertenza e il suo epilogo, di cui persone sicuramente più qualificate di chi scrive dovranno farsi carico, sono ancora tutte da definire. Resta allora negli occhi e nella memoria quel cammino lungo 730 giorni, il valore di una lotta che in questo Paese non si vedeva da tempo e che dimostra, una volta di più semmai ce ne fosse bisogno, che la “lotta di classe” esiste ancora, in tutta la sua dignità e la sua necessità. I lavoratori della GKN ce lo stanno insegnando da due anni: nella difesa e nell’autogestione della loro fabbrica e nel lungo giro d’Italia per far conoscere la loro storia, nell’incontro con altri lavoratori e con gli studenti di tutto il Paese e nelle grandi manifestazioni di Firenze.

Quei lavoratori hanno sempre saputo che la loro era una lotta impari, troppi ostacoli avrebbero trovato sulla loro strada, ma ci hanno insegnato che quella strada si doveva percorrere. È una strada che chiama tutti ad una solidarietà e ad un impegno collettivo: lavoratori, studenti, cittadini. Non esiste una vera pace sociale se si ignora il conflitto sociale, e quel conflitto è la conseguenza di un sistema di emarginazione, di mancanza di lavoro e di prospettive. “Scusa Firenze – Questa lotta è di tutti e per tutti” è il coraggio di dire una verità: ogni lotta degna di questo nome è sempre una lotta per un bene comune, a volte anche per chi non lo merita.

“La nostra rabbia tocca il cielo, spiccare il volo o cadere”. Era l’inverno del 2012 quando i padroni delle Ferrovie dello Stato decisero che i treni della notte dovevano essere aboliti. Quei treni univano il Paese da Nord a Sud e venivano cancellati per un gioco che era solo politico e di mercato, un gioco che cancellava una possibilità di spostamento utilizzata dalle classi più deboli. I ferrovieri salirono sulla Torre Faro del binario 21 della Stazione Centrale di Milano. La loro lotta durò mesi, la città di Milano era con loro. Chi scrive ha conosciuto quei ferrovieri e quella lotta. Quella lotta non fu inutile. Tante cose sono cambiate da quell’inverno irripetibile. Anche Milano è cambiata, ma non lo capisce.
Firenze ha un debito verso i lavoratori di Campi Bisenzio, tutti noi abbiamo un debito. Lo ha chiunque abbia conosciuto la storia di quei lavoratori e di quella fabbrica, chiunque abbia vissuto accanto a loro almeno un giorno di quei 730.

Chi lo ha vissuto ha riscoperto che la lotta di classe esiste ancora ed è il fondamento di ogni conquista e di ogni diritto. Lo è ancora oggi, di fronte ad un Paese che non c’è, vittima e complice di vecchi e nuovi padroni, di ogni fondo di investimento e di piccoli uomini che promettono tutto ma che poi scappano. Quando la rabbia tocca il cielo significa che le nostre vite contano di più dei loro profitti. Ecco perché i lavoratori della GKN hanno già spiccato il volo e quel volo è un insegnamento, una pagina di storia.

“Oggi pomeriggio, h 17, dopo sei giorni l’azione di lotta alla Torre di San Niccolò termina. La lotta torna a concentrarsi di fronte ai cancelli della fabbrica. Sono arrivati i bonifici della cigs. Confusi, parziali, contraddittori. Torniamo a vedere il segno qualcosa alla voce entrate. Non succedeva da novembre. Sapevamo che dovevamo resistere diversi giorni in quella fabbrica. Non sono stati solo diversi giorni, 730 per l’esattezza, ma sono stati anche giorni diversi. E noi oggi siamo diversi e sempre troppo uguali. Abbastanza forti per non perdere, ancora troppo poco per vincere”. (Collettivo Di Fabbrica – Lavoratori GKN Firenze)

Maurizio Anelli -ilmegafono.org