“Non posso tollerare che si cerchi di drenare risorse a chi lavora e distribuisce ricchezza nel territorio. Così viene meno il concetto stesso di libertà d’impresa”. Sono parole significative quelle pronunciate da Giuseppe Condorelli, titolare della nota azienda di torroncini di Belpasso (CT), parole che fanno seguito ad un’inchiesta che, grazie alla sua denuncia, dopo due anni di indagini ha portato all’arresto di ben 40 affiliati a diversi clan mafiosi. In queste settimane, tutta Italia ha potuto conoscere il coraggio e la determinazione dell’imprenditore catanese che ha scelto di non piegarsi alla criminalità organizzata, denunciando chi voleva estorcergli denaro e dando la possibilità alle forze dell’ordine di indagare e poi far scattare la retata.

L’inchiesta, denominata “Sotto Scacco”, ha messo a nudo ancora una volta una realtà economica siciliana (e non solo) fatta di pressioni, minacce, ma soprattutto di limitazioni alla libera impresa, al commercio, alla crescita di un territorio che viene soffocata dall’opprimente presenza mafiosa. Una presenza dalla quale bisogna liberarsi, senza se e senza ma. Ed è proprio quello che ha fatto Condorelli, il quale, davanti a un tentativo di estorsione avvenuto due anni fa, ha deciso subito di ribellarsi e di difendere il proprio lavoro e la propria dignità. Nel 2019, infatti, l’imprenditore aveva trovato, davanti al cancello di uno degli stabilimenti dell’azienda, una bottiglia incendiaria con annesso un messaggio (sgrammaticato) in cui gli veniva consigliato di pagare il pizzo o, in alternativa, di trovarsi “un amico fidato” a cui chiedere protezione.

Una minaccia tipica, una funesta intimidazione non solo nei confronti dell’impresa, ma soprattutto dello stesso Condorelli, che già nel 1998 era stato vittima di estorsione. E anche in quella occasione aveva denunciato e fatto arrestare gli estortori, trovando in questa sua scelta piena condivisione da parte del padre Francesco, fondatore dell’azienda, all’epoca ancora vivo. A distanza di due decadi (un periodo durante il quale lo stesso imprenditore pensava che “fosse tutto finito”), la mafia è tornata a colpire, trovandosi però nuovamente davanti a un vero e proprio muro, un muro solidissimo costruito con dignità e voglia di giustizia. “Bisogna denunciare: questo è quello che mi ha insegnato mio padre”, ha affermato Condorelli in una delle diverse interviste rilasciate a seguito degli arresti. “Non è la prima volta che mi minacciano, ma per il bene della Sicilia non possiamo arretrare neanche di un millimetro”. “Tutto questo – ha aggiunto – è per l’amore per la nostra terra e i nostri valori. Per il nostro lavoro e il nostro sudore. Nostro e dei nostri dipendenti”.

Lavoro, valori, sudore: concetti, parole, idee che assumono ancora più importanza quando diventano esempio di lotta e di libertà dall’oppressione mafiosa. “Denunciare un’aggressione, una minaccia, un’estorsione – afferma Condorelli – è un obbligo per l’imprenditore che in questa Sicilia devastata non ha solo una funzione economica, ma anche sociale, direi etica. Ecco perché occorre trovare il coraggio”. Per fortuna, un gesto così coraggioso e dalla grande dignità come quello compiuto dall’imprenditore siciliano non è passato inosservato; al contrario, il marchio dei torroncini è arrivato persino a Montecitorio, dove alcuni esponenti politici hanno voluto rendere omaggio alla tenacia della famiglia Condorelli: “Dobbiamo rendere omaggio a questo imprenditore – ha affermato ad esempio il deputato PD Walter Verini – le mafie si sconfiggono con l’impegno delle forze dell’ordine e delle istituzioni, ma anche della società”.

Dello stesso avviso è anche Leoluca Orlando, sindaco di Palermo e presidente di Anci Sicilia: “È un atto coraggioso, segno di grande speranza per l’economia dell’isola. Un esempio da seguire, perché denunciare il pizzo è strada fondamentale per liberarsi dall’oppressione mafiosa”. La denuncia da parte di uno dei marchi più importanti e noti della Sicilia può effettivamente trasformarsi in un segnale di spinta affinché tutti, da Trento ad Agrigento, si sveglino e decidano una volta per tutte di contrastare l’arroganza mafiosa. Se è vero che la Sicilia è avanguardia della lotta al racket, grazie alle battaglie di chi, come Libero Grassi, ha sacrificato la propria vita per dare un segnale di libertà, e grazie ad esperienze importanti come Addiopizzo, è altrettanto vero che tutto il Paese deve liberarsi dalla morsa del racket. E al di là delle parole di incoraggiamento e gratitudine per Condorelli, deve attivarsi per non lasciarlo solo, per accompagnarlo con il coraggio della denuncia. Solo così il vento potrà cambiare davvero e portarci il fresco profumo di libertà auspicato da Paolo Borsellino.

Giovanni Dato -ilmegafono.org